«Sarei affondata volentieri nelle sue acque», disse Marianne piano. «Avrebbero coperto tutto, mi avrebbero sommerso per poi ritirarsi, dimenticandomi. Ho cercato la morte».
«E poi?» chiese Pascale angosciata.
«Poi mi è capitata la vita».
Quanto si può essere stanchi della propria vita o di se stessi? Marianne, la protagonista del nuovo romanzo di Nina George, Una casa sul mare del Nord (Sperling & Kupfer, trad. di Cristina Proto) lo è tanto, talmente tanto che l’unica soluzione che ritiene possibile per tirarsi fuori dai giochi e liberarsi di quel pesante fardello che le pesa sulle spalle è il suicidio. E proprio un attimo prima di lasciarsi cadere nelle fredde acque della Senna, Marianne “Non si era mai sentita così leggera. Così libera. Così felice”. Perché il fatto è che non ha atteso di avere sessant’anni per buttarsi giù da un ponte di Parigi e morire. Lei è già morta, giorno dopo giorno, per decenni. Quel tuffo, per lei che di decisioni per se stessa, nella vita, non ne ha prese mai, è un grido di rinascita, di lotta, di speranza. È anche un grido che, grazie a un uomo che prontamente interviene, non rimarrà soffocato dalle correnti della Senna…
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