mercoledì 29 gennaio 2014

Ciao, alieno Valery

Se una pennellata è espressione di un linguaggio, quali sono i codici per comprendere il messaggio? Quanto può trasmettere una persona in ciò che dipinge? Quand’io lo faccio, vengo trascinata via talmente in fretta dai colori da decidere, in breve, di abbandonare i soliti strumenti a favore delle dita. In entrambi i casi non raggiungo i risultati che vorrei – spesso soffrendo del distacco tra l’immagine pensata e quella riprodotta, ma cionondimeno vivo l’eterno fallimento con più soddisfazione. Lo faccio poi di rado, perché tanto l’attività mi assorbe e richiede delle mie emozioni da non aver spesso voglia di sentir tutto riaffiorare così prepotentemente verso l’esterno.

Sabato scorso sono andata con un’amica presso la sede dell’Archivio di Stato di Piazzetta Mollino per la mostra intitolata “Dalle avanguardie alla Perestrojka”, che raccoglieva la collezione della Pinacoteca Civica Manege di San Pietroburgo: cento opere tra dipinti ad olio, acquerelli e disegni per la prima volta in visita nel nostro paese. Ingresso gratuito (e per questo sponsorizzata pochissimo, già terminata e aperta solo in orari “da ufficio”, perciò assurdi: in settimana e il sabato mattina fino alle 13).

Dopo un paio di autoritratti, ho cominciato a riflettere su quale possa essere la spinta emotiva alla base della scelta di dipingersi, per poi mostrarsi a un pubblico. O al coraggio che ha colui che si mette di fronte a se stesso e vuol riprodurre la propria immagine, nel bene o nel male. Ci saranno sempre dei difetti che vogliamo celare, pregi da esaltare, imperfezioni da limare, o comunque un’idea del nostro io a cui siamo legati che vorrà dominare sulla realtà nuda e cruda. E si ritorna all’eterno quesito di come poter giudicare cosa è oggettivo, se ogni valutazione viene necessariamente filtrata da una soggettività innata.

Insomma, l’artista è colui che sa mostrare parti di sé così in sintonia con il sentire celato di molti da poter condurre l’osservatore a una più profonda conoscenza di se stesso, svelando il percorso per far riaffiorare al conscio emozioni che, pur presenti, non avrebbero altrimenti avuto un nome. Secondo me, almeno. E allora guardavo quegli occhi, quelle bocche, pensavo, e mi impelagavo in supposizioni e ragionamenti sempre più contorti, rammaricandomi di non avere una conoscenza tale dell’arte da poterne comprendere il linguaggio. Poi però, dietro all’ultimo pannello, in fondo, ecco che mi si presenta questa meraviglia.

Autoritratto, di Valery Konevin
Olio su tela, 75 x 95, 1991

Ed è stato un po’ come sentire parlare una persona in una lingua sconosciuta, ma dai suoni talmente noti da risultare familiare, e amica. Profondamente aliena.

Nei prossimi giorni pubblicherò le foto di qualche altra opera esposta. Una mostra notevole.

venerdì 24 gennaio 2014

Lettera aperta da uno scrittore ucraino

L'articolo che segue è stato scritto da Yuri Andrukhovych. La versione in inglese, su cui si basa la mia traduzione, è stata pubblicata qui
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Yuri Andrukhovych,
fonte
Cari amici,

in questi giorni ho ricevuto da parte vostra numerose richieste circa l’attuale situazione a Kiev e dell’Ucraina tutta, di esprimere la mia opinione su ciò che sta accadendo e formulare il mio punto di vista almeno sul prossimo futuro. Dal momento che non ho l’effettiva possibilità di rispondere singolarmente a ognuna delle vostre pubblicazioni con un saggio di analisi approfondito, ho deciso di preparare questa breve esposizione, che ciascuno di voi potrà usare come vorrà. Ecco le cose più importanti che mi preme dirvi.

In meno di 4 anni di governo, il regime di Viktor Yanukovych ha condotto il paese e la società a uno stato di tensione estremo. Peggio ancora, si è invischiato in una situazione senza via d’uscita in cui deve rimanere aggrappato al potere per sempre, con ogni mezzo, se non vuole essere giudicato penalmente. Quel che è stato rubato e usurpato va oltre ogni immaginazione di ciò che l’avidità umana è in grado di fare.

La violenza è stata l’unica risposta che questo regime ha saputo proporre di fronte alle proteste pacifiche, ora al loro terzo mese; un’escalation di violenza  “ibrida”: gli attacchi delle forze speciali di piazza Maidan si combinano con le vessazioni e le persecuzioni a danno degli attivisti di opposizione e dei normali manifestanti (pedinamenti, pestaggi, fuoco appiccato a macchine e abitazioni, irruzioni nelle case, perquisizioni, arresti, procedimenti  giudiziari farsa). La parola chiave qui è intimidazione. Ma visto che non funziona, e che le proteste continuano ad aumentare, le azioni repressive da parte del regime si fanno sempre più dure.

Il  “fondamento legale” per tutto questo è stato creato il 16 gennaio, quando i membri del Parlamento, in tutto e per tutto asserviti al presidente, in aperta violazione di tutte le norme di votazione e procedurali, hanno votato nel giro di pochi minuti e per semplice alzata di mano una serie completa di emendamenti che di fatto introducono nel paese la dittatura e uno stato di emergenza senza una dichiarazione formale in tal senso. Scrivendo e diffondendo queste mie parole, per esempio, ho infranto diverse norme del nuovo codice penale per “diffamazione”, “istigazione al disordine”, eccetera.

Per farla breve, se vengono riconosciute queste “leggi”, se ne dovrebbe dedurre che in Ucraina è vietato tutto ciò che non è espressamente permesso dalle autorità. E l’unica cosa che le autorità permettono è la sottomissione.

Contraria a queste “leggi”, il 19 gennaio la società ucraina è insorta, ancora una volta, per difendere il proprio futuro.

Oggi in tv, nelle notizie in merito a Kiev, potete vedere i manifestanti con indosso vari tipi di elmetti e maschere, talvolta con dei bastoni di legno in mano. Non crediate che si tratti di “estremisti”, “provocatori” o “radicali di destra”. Anche io e i miei amici protestiamo vestiti allo stesso modo e possiamo dunque dirci estremisti” anche noi: io, mia moglie, mia figlia e i nostri amici. Non abbiamo nessun'altra possibilità: dobbiamo proteggere la nostra vita e la nostra salute, così come la vita e la salute di chi ci sta vicino e ci è caro. Le unità delle forze speciali ci sparano, i cecchini uccidono i nostri amici. Secondo diversi rapporti, il numero di manifestanti uccisi solo in un isolato nella zona del comune ammonta a 5 o 7. Senza contare le decine di persone scomparse a Kiev.

Non possiamo fermare le proteste, perché ciò equivarrebbe ad accettare di vivere in un paese che è stato trasformato in una prigione. La generazione ucraina più giovane, cresciuta e maturata negli anni post Unione sovietica, rigetta in toto qualsiasi forma di dittatura. Se questa vince, l’Europa deve prendere in considerazione l’idea di avere una Corea del Nord al confine orientale e, secondo varie stime, tra i 5 e 10 milioni di rifugiati. E non lo dico per spaventarvi.

Questa è una rivoluzione di giovani, e i titolari del potere dichiarano guerra soprattutto a loro. A Kiev, quando si fa notte, ci sono “persone in abiti civili” non identificate che girano per la città a caccia di giovani, in special modo di quelli che mostrano i simboli di piazza Maidan o dell’Unione europea. Li rapiscono, portandoli nei boschi, denudandoli e torturandoli al freddo e al gelo. Per qualche strana ragione le vittime di tali azioni sono per lo più giovani artisti: attori, pittori, poeti. Sembra quasi che qualche strano “squadrone della morte” sia stato sguinzagliato nel paese con il compito di annientare tutto ciò che vi è ancora di buono.

Un altro dettaglio particolare: negli ospedali di Kiev le forze di polizia attendono i manifestanti feriti, che vengono portati via (ripeto: si tratta di persone ferite) e sottoposti ad interrogatorio in luoghi ignoti. È diventato pericoloso andare in ospedale persino per i passanti che si trovano lì per caso, rimasti feriti da un frammento di plastica di una granata della polizia. I medici si limitano a gesticolare inutilmente, consegnando i pazienti nelle mani dei cosiddetti “tutori della legge”.

In conclusione: in Ucraina, in questo momento, vengono commessi crimini contro l’umanità su larga scala, e la responsabilità è da attribuire all’attuale governo. Se vogliamo proprio parlare di estremisti, quelli che si meritano tale definizione sono i membri della classe dirigente.

E ora rispondo a due domande alle quali tradizionalmente mi è più difficile dare una risposta: non so cosa accadrà, e ora come ora non so come potreste aiutarci. Potete comunque far girare questo appello. E mettervi nei nostri panni. Rivolgeteci un pensiero. Vinceremo in tutti i casi, a prescindere da quanto ci faranno patire. Il popolo ucraino, senza esagerazione, sta ora difendendo col proprio sangue i valori di una società libera e giusta.

Spero davvero col cuore che lo apprezziate.

giovedì 16 gennaio 2014

Per puro spirito di cortesia

Tra le varie attività che svolge una traduttrice freelance, c'è anche quella di dedicare un po' di tempo, quando può/riesce/ritiene opportuno, a presentare i propri servizi a clienti o agenzie nuove. Un'attività che, di solito, si esplica via email. 

Non è una cosa che mi piace particolarmente, perché se è anche vero che l'email è il mezzo più veloce per trasmettere una comunicazione, è anche tra i più impersonali, e spesso il tutto si perde in un triste copia-incolla delle solite cose. Nel mio caso, cerco di non commettere questo errore e di capire ogni volta se la persona o l'agenzia a cui mi sto rivolgendo rispecchia davvero il tipo di cliente giusto per me, ponendomi domande come: "si tratta di persone affidabili e serie?", ma anche e soprattutto: "con che tipo di testi lavorano?", "potrebbero aver bisogno di una risorsa nelle mie combinazioni linguistiche?", "ho qualcosa da offrire loro?". 

Spesso si perde di vista il fatto che quando ci si propone, si sta semplicemente rendendo nota la propria disponibilità ad offrire un servizio. Ciò che si propone è dunque uno scambio - ad esempio l'offerta di un servizio di traduzione/revisione di testi a fronte di una remunerazione, al fine di soddisfare un bisogno - sempre a titolo esemplificativo, "io voglio lavorare" e "voi ne avete bisogno perché con la mia combinazione linguistica potreste allargare il vostro ventaglio di offerte". Quando una persona ci offre un lavoro, del resto, non è certo per fare un favore a noi.

Detto questo, pur inviando fior di email a diversi potenziali clienti molto mirati, il numero di risposte non corrisponde mai, neanche lontanamente, al numero di email inviate. Tempo fa mi ha infatti rincuorato sentire un'affermata traduttrice letteraria, che lavora nel settore dell'editoria ormai da decenni, ammettere con candore che succede anche a lei. Perciò poco male. 

Però poi c'è il fatto che il 99% di quei pochi che rispondono ti fanno perdere un po' di fiducia nel prossimo, uscendosene con proposte collaborative oscene: prova di revisione non retribuita su 20 cartelle tradotte con software automatico, scheda di lettura non retribuita su un testo da 400 pagine ("una volta superata la prova, la remunerazione che proponiamo è di 30 euro lordi a libro"), prova di scrittura (lo so, questa è più ostica da capire, ma funziona più o meno così: "valuteremo il Suo curriculum come traduttrice solo se scriverà un articolo per il nostro blog") e via discorrendo. 

Rimane l'1%. In questa percentuale non conto solo le risposte positive, ma anche quelle scritte da persone a modo che, per quello che ritengo puro spirito di cortesia, scelgono di usare parte del proprio tempo per inviarti una risposta in cui, senza volerti offrire nessuno scambio totalmente iniquo o sbilanciato, ti comunicano semplicemente che, per il momento o quel che è, non necessitano dei tuoi servizi.

Oggi ho ricevuto un'email di questo tipo, in cui questa persona addirittura si scusava di non essere riuscita a rispondere prima a causa delle feste e della mole di lavoro. Un'email del genere dovrebbe rientrare nella normalità e non destare alcuno stupore, lo sappiamo tutti. Altrettanto vero e doveroso è riconoscere invece che la realtà è diversa: perché un'email è il mezzo più veloce per trasmettere una comunicazione, ma è anche tra i più impersonali e di norma, nei contesti lavorativi, è raro che venga lasciato spazio al lato prettamente umano. 

Così io la ringrazio tantissimo, questa persona sconosciuta che ha speso una manciata di minuti per scrivermi. Ci fossero più persone come lei, saremmo tutti più ricchi. 


domenica 12 gennaio 2014

Ma oggi no

La mattina capita, alle volte, di sentirsi così:

di Andrea Dall'Ara
Ma oggi no, perché - udite udite! - ho deciso di andare in montagna, mettermi due lunghe assicelle elastiche di metallo e materiale sintetico sotto ai piedi e fare quella cosa che si suol indicare col verbo sciare.

Buona domenica!

Categorie: evento-che-per-me-ha-cadenza-pressappoco-triennale; anche-i-traduttori-sciano; io-speriamo-che-me-la-cavo; se-mi-rompo-una-gamba-me-la-sono-anche-andata-a-cercare; wish-me-luck; la-responsabilità-è-soltanto-mia-e-già-che-ci-siamo-mea-culpa-mea-culpa-mea-culpa.

sabato 4 gennaio 2014

Di traduzione: il mio primo milione!

Translating is not pouring wine from one bottle into another. Substance and form cannot be separated easily... Translating is more like wrenching a soul from its body and luring it into a different one. It means killing.
Rosmarie Waldrop, The Joy of the Demiurge


Ho trovato questa citazione un paio di giorni fa su Tumblr e mi è piaciuta molto, perché non solo parla di traduzione, ma mi ricorda la pittura. La pittura?, ci sarebbe da domandare. Sì, mi ricorda Kandinskij e una mattina di milioni di anni fa, quando in visita a Parigi per un paio di giorni mia madre e il suo compagno mi svegliarono all'alba per trainarmi attraverso una città silenziosa e immersa nel primo sole mattutino. Giungemmo al Centre Pompidou che saranno state le 7, ma il museo d'arte moderna era aperto e, fino alle 8, fantasticamente gratuito. Mi sembrava di dover camminare in punta di piedi, a quell'ora e in quel silenzio irreali, e non ricordo tantissimo se non l'emozione del trovarmi di fronte a un quadro di un artista che fino ad allora avevo conosciuto solo di nome (Internet non esisteva e non avevo manco l'età per poter dire di aver affrontato una lezione di storia dell'arte). 

Giallo Rosso Blu, 1925
Se una persona riuscisse a trovare il modo di spiegare un dipinto di quel calibro e a trasmettere forma e colore tanto quanto forza e intensità attraverso le parole o la musica o qualsivoglia altra espressione artistica, allora riuscirebbe in un atto traduttivo da un linguaggio all'altro. E quest'idea di ricerca passionale, attenta e violenta ma al contempo impossibile dell'esatta corrispondenza espressiva ed emozionale tra due codici diversi, dà un'idea più chiara di quella che è la vera difficoltà del lavoro del traduttore.

Oggi mi sono svegliata con voglia di città all'alba, silenzio e croissant. E di Kandinskij. Capita, alle volte.
Poi, devo festeggiare il mio primo milione di parole tradotte. In realtà l'ho superato da un po', ma me ne sono accorta soltanto oggi. Yay me!

venerdì 3 gennaio 2014

Come comunicare

Come comunicare con Papa Francesco.
Come comunicare con gli angeli.
Come comunicare all'Inps la sospensione della mobilità.
Come comunicare con operatore Tim.

Non so se il completamento automatico mi inorridisca o mi affascini, però ammetto che la tentazione di giocarci tutto il giorno c'è.
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