martedì 30 aprile 2013

May Day: quello strano profumo

Oggi è finalmente arrivato il pacco del May Day! L'ho aspettato per giorni e proprio oggi, mentre ero distratta, è giunta una busta dritta dritta dal New Jersey con dentro un involto in carta sottile. 

L'ho poggiato sul tavolo e, mentre leggevo il biglietto che vi era allegato, già ero felice. Poi ho capito perché: profumava di qualcosa di buono, di ordine, di finestre aperte, di cambiamento. Come spiegava qui una mia cara amica, l'olfatto è tra i cinque sensi quello che ha il potere maggiore quando si tratta di riportare alla mente dei ricordi.

Nell'involto ho poi trovato tanti piccoli oggetti bellissimi, ovvero un taccuino fatto a mano (fatto a mano!), che si vede in basso a destra, fragilissimi scheletri di foglia (non sapevo neanche esistessero...), un nastro colorato, degli angoli per fotografie, dei segnalibri a forma di casette per uccelli. 

In sottofondo, sempre quel profumo. Che bell'inizio di primavera, no?

 


venerdì 26 aprile 2013

Torino: il MAU, Museo di Arte Urbana

I torinesi non conoscono Torino. È un dato di fatto, almeno per quanto mi riguarda. Solo da pochi giorni ed esclusivamente grazie al Geocache ho finalmente scoperto l'esistenza del MAU, ovvero il Museo d'Arte Urbana che si trova non lontano da casa mia. Oggi, terminato il lavoro in tempi da record, ne ho approfittato per farci una capatina. Sono riuscita a perdermi in una zona che avrei detto di conoscere come le mie tasche, per di più con la mappa davanti agli occhi

Borgo Vecchio Campidoglio
Il MAU è situato nel Borgo Vecchio Campidoglio, ovvero in uno spazio racchiuso tra corso Svizzera, corso Tassoni, via Cibrario e via Fabrizi. Sembra di trovarsi d'un tratto in un paese: case basse, viuzze un po' strette, tanti cortili interni. 

L'idea di riqualificare quest'area utilizzando l'arte ha preso piede a metà anni '90 e nel 1995 erano già state realizzate le prime tredici opere. Si tratta di murales e disegni spontanei che vanno a inserirsi in modo estremamente naturale sulle pareti degli edifici. Ora di installazioni ce ne sono ben 121 ma il progetto si evolve costantemente (la storia completa si può trovare sul sito ufficiale).

È poi un quartierino pieno di locali, trattorie, spazi verdi e credo potrà essere un'ottima meta per eventuali passeggiate estive. 



Opera di Gianni Gianasso





Opera di Gianluca Scarano




 






Di seguito le mie preferite





I paint, therefore I am

Alla fine il geocache non l'ho trovato e questa è chiaramente una buona scusa per tornare!

domenica 21 aprile 2013

Inghilterra edoardiana, 1900 circa

Un bellissimo video che, con la musica che hanno scelto come sottofondo, diventa poesia.




Musica: "Chanson du Soir" e "Arco Noir", tratte da "Strings of Sorrow" di Richard Harvey.
Pare che alcune parti siano state girate a Cork, Irlanda.
Di seguito alcuni fotogrammi.




Quella bambina, lì in mezzo, mi ha fatta sorridere.

sabato 20 aprile 2013

La strada fangosa, un Kōan


Tanzan e Ekido stavano percorrendo una strada fangosa, la pioggia scrosciava copiosa.
Dietro a una curva si imbatterono in una graziosa ragazza la quale, vestita d'un kimono di seta stretto da un obi, non poteva attraversare la strada.
"Vieni, su", la invitò Tanzan, che la prese tra le braccia e la portò oltre il pantano.
Ekido non profferì parola sino a quando, la sera, non raggiunsero un tempio per trascorrere la notte e non poté più trattenersi: "Noi monaci non ci avviciniamo alle donne", ribadì a Tanzan, "in special modo a quelle giovani e belle come lei. È pericoloso, perché l'hai fatto?".
Tanzan rispose: "Io ho lasciato quella ragazza oltre il pantano, tu la porti ancora con te?".

[Il brano originale si intitola "The muddy road", questa riportata è la versione italiana  tradotta da me.
Altri  Kōan, in inglese, si trovano qui]

martedì 16 aprile 2013

L'avete mai incontrata Anna Nadotti?

Stasera, grazie alla segnalazione di Silvia Pareschi, sono andata all'incontro "Anna Nadotti incontra Anita Desai". Anna Nadotti, per chi non lo sapesse, è la traduttrice di Anita Desai (e non solo...), e l'avevo già ascoltata o letta in diverse interviste, ma vederla dal vivo è stata tutta un'altra cosa. Ho riconosciuto subito il piacere fisico delle parole. Chiaramente, ha parlato della vita, delle dimensioni narrative e linguistiche di questa autrice, senza tuttavia lasciarsi sfuggire brevi divagazioni su Italo Calvino, Junot Diaz, Emily Dickinson, T.S. Eliott, Michael Ondaatje e Carlo Levi. 

Tra i diversi libri da lei citati c'era anche "L'artista della sparizione", appena uscito per le edizioni Einaudi. Si compone di tre racconti, tra i quali: "Tradurre, tradursi", che lei ha descritto come uno dei più difficili, emotivamente parlando, perché narra di una traduttrice e della spinosa questione della fedeltà/infedeltà di un testo da riportare in un'altra lingua.

Qualche giorno fa mi sono ripromessa di non iniziare libri nuovi, visto che ne ho più di una ventina in sospeso.  Non è affatto facile andare avanti così: più leggi, più libri hai voglia di leggere.

Non so quindi se riuscirò a mantenere il mio personalissimo impegno, ma sono uscita da quella libreria con il sorriso sulle labbra e l'impressione che la vita sia bellissima. 


domenica 14 aprile 2013

Non sei altro che un vecchio lampione


È da trent'anni che stai a cianciare... Non ci tieni più ad avere ragione. Ti molla la voglia di tenerti anche il posticino che t'eri riservato tra i piaceri... Ti viene lo schifo... Basta ormai mangiare un po', scaldarsi un po' e dormire più che si può sulla via del nulla assoluto. Bisognerebbe per ritrovare degli interessi inventarsi delle nuove smorfie da eseguire davanti agli altri... Ma non si ha più la forza di cambiare il repertorio. Farfugli. Cerchi ancora dei trucchi e delle scuse per restare là con loro, gli amici, ma la morte è lì anche lei, fetente, al tuo fianco, tutto il tempo adesso e meno misteriosa d'un mazzo di carte. Ti restano preziose solo le pene minute, quella di non aver trovato il tempo fin che era vivo d'andare a trovare il vecchio zio a Bois-Colombes, con la sua canzoncina che s'è spenta per sempre una sera di febbraio. È tutto quello che hai conservato della vita. Questo piccolo rimpianto atroce, il resto l'hai più o meno vomitato lungo la strada, con molti sforzi e pena. Non sei altro che un vecchio lampione di ricordi all'angolo di una strada dove non passa già quasi più nessuno.
Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte
Traduzione di Ernesto Ferrero 

venerdì 12 aprile 2013

Come possiamo intrattenerci solo con la nostra mente?

Nel corso di un'altra intervista, il prof. Timothy D. Wilson (di lui avevo già parlato qualche giorno fa, qui) ha raccontato anche di un esperimento da lui condotto che conferma la tendenza che abbiamo a tenerci perennemente occupati e a trascorrere poco tempo a pensare. L'argomento mi interessa soprattutto perché, tra lavoro, interessi, letture e anche un po' di vita sociale, ogni tanto mi dimentico che una delle cose più belle è stare per i fatti propri semplicemente a far niente.

Riporto su due piedi parte di quel che dice direttamente in italiano, ma è meglio ricordare che non si tratta di un'intervista a voce, perciò mancano tutti quegli elementi che accompagnano la sua esposizione (tono di voce, gestualità, ecc.). 

Wilson: Ci occupiamo di un sacco di cose nel nostro laboratorio al momento, ma tra queste ce n'è una che trovo affascinante e riguarda il modo in cui possiamo intrattenerci usando soltanto la nostra mente. Perciò, togliendo tutti gli stimoli esterni (...) mettiamo gli studenti in una stanza e li lasciamo lì anche solo per 15 minuti, senza alcuna distrazione, e diciamo loro di trascorrere semplicemente il tempo tenendosi occupati con la propria mente. Poi torniamo e diamo loro un questionario per domandare cose tipo "com'era?", "quanto è stato piacevole?". Le risposte variano molto, ma in media non è una cosa che piace granché, anche se si tratta solo di 10 o 15 minuti. Da un certo punto di vista è ovvio, credo, che ci piaccia tenerci occupati con qualcosa, ma da un altro punto di vista questo enorme cervello che abbiamo, in grado di fantasticare, recuperare ricordi dal passato... non dovrebbe essere così difficile! Eppure pare che lo sia. Stiamo pertanto cercando di capire perché. 

Prof. Green: Beh, una cosa che faccio a questo proposito, nelle lezioni che tengo in questo corso così come in quelle a Herron Grounds, è di cercare di costruire, all'inizio di ogni lezione, un breve momento dedicato alla meditazione. E di solito gli studenti, molti studenti, all'inizio non lo trovano semplice... e parliamo di cinque minuti soltanto. Spesso danno segni di irrequietezza e non vedono l'ora di tornare a controllare il cellulare, cosa accade su Facebook e via dicendo. Per alcuni sono cinque minuti difficili. Tuttavia, col tempo iniziano ad apprezzarlo, in special modo se do loro qualche tecnica da seguire. (...) Può calmare molto. Si parla molto dell'idea di calmare le acque della mente. Altre persone parlano della mente scimmia: far sì che la scimmia dentro alla tua testa si acquieti per un po'. E le persone, quando sono in grado di farlo, lo trovano molto calmante e rilassante. È però difficile farlo come cosa estemporanea. Se non l'hai mai fatto prima può risultare sgradevole. Credo quindi che sia una cosa che si impara ad apprezzare col tempo.

Pensandoci, io non ho avuto difficoltà con quei momenti meditativi di cui parla il professor Green. Anzi, visto che solitamente li seguo chiudendo gli occhi, spesso quando li riapro scopro che il suo video di cinque minuti è già terminato e io sono rimasta lì spersa in me stessa per chissà quanto. Mi capita la stessa cosa quando inizio a fissare il cielo o vado a un concerto jazz. 

E voi? Ve li prendete questi cinque, dieci, quindici minuti di tempo dedicati soltanto ai vostri pensieri? Come?

Woolgathering?

Asking for advice


Advice is what we ask for when we already know the answer but wish we did not.


Erica Jong, 1942



mercoledì 10 aprile 2013

Select level in potentino

Ecco un video-parodia di uno studente potentino fuori sede.


Molte cose mi hanno fatto sorridere, perché le ho trovate molto, molto tipiche, soprattutto le espressioni e i dialoghi.

- Uagliò, ma quando sei arrivato?
- Ma mo' so' arrivato
- Ah, e quanto ti trattieni?
- Eeehh, giusto il tempo delle feste.
- Senti, noi ci andiamo a pijà na cosa sopra, vuoi venì?
- No. Io devo andà in famiglia, c'ho mia mamma.

La ciliegina sulla torta: i livelli di difficoltà del videogioco in potentino.


Invece alla scelta dei personaggi più famosi di Potenza mi sono persa, non sono ancora* a quel livello di conoscenza culturale. 

*"Breve" nota sul mio rapporto con il potentino:

Da torinese fatta e finita, non parlo purtroppo nemmeno una parola di piemontese. Tuttavia da anni sono fidanzata con un potentino e il dialetto di quelle parti, se non proprio stretto stretto, lo parlo o, meglio, lo capisco. 

Da un punto di vista linguistico i primi anni, quando andavo a Potenza, per me era un incubo: a pranzo o cena con la famiglia si passava spesso dall'italiano al dialetto e io mi perdevo pezzi interi di conversazione. Ricordo un giorno che proprio non ce la feci più: qualcuno disse "digniel!" e io me ne uscii con "no, ora mi spiegate cosa c'entra l'agnello!" ("digniel" significa "diglielo").
Fu drammatica anche la volta che andammo a vedere La Ricotta, ovvero il trio di comici che qualche anno fa ha cominciato a esibirsi anche a Zelig. In tv sono molto comprensibili e ovviamente adattano le battute a un pubblico diverso, ma in quel caso si trattava di una fiera di paese ed era dato per scontato che tutti potessero comprenderli. Io ho trascorso l'intera serata a guardare gli altri ridere fino alle lacrime, mentre l'unica cosa che capivo io era il "ne?" che i comici utilizzavano per imitare i veneziani (e io mi sentivo pure un po' offesa, perché il "ne?" a fine frase, per me, era solo ed esclusivamente piemontese).

Piano piano le cose sono cambiate, ma io non me ne sono accorta se non quando mi sono laureata: quell'anno il mio ragazzo e parte della sua famiglia sono venuti a Torino. A pranzo, mentre eravamo tutti lì a mangiare la bagna cauda, dopo uno scambio verbale velocissimo tra L. e il padre mia zia s'è voltata verso di me, occhi sgranati, e mi ha chiesto: "Cos'è che hanno detto?". È stata una rivelazione. 

A quel punto ho accettato, dopo anni, di tornare a vedere uno spettacolo de La Ricotta (il primo mi aveva demoralizzata) ed era proprio così, ormai capivo il potentino senza alcuno sforzo!


martedì 9 aprile 2013

Vincere alla lotteria

Ho paura di vincere alla lotteria. Sono sempre stata piuttosto fortunata. Nella mia vita ho vinto: una bicicletta, un tronchetto della felicità, un orologio, un ambo secco, due rimborsi da compagnie aeree (per me equivalgono a vere e proprie vincite) e almeno tre volte la settimana trovo una monetina per terra. Tuttavia, ogni volta che mi capita tra le mani un biglietto che prevede un premio enorme, una parte di me spera sempre che non succeda, che quei numeri non escano, che la mia vita non cambi così radicalmente.

Stasera mi sono dedicata a Know Thyself, un corso di filosofia tenuto da Mitchell Green. Non ero intenzionata a seguirlo, ero solo curiosa, ma all'inizio della primissima lezione il professore ha tirato fuori una campana tibetana e ha iniziato a spiegare una tecnica di meditazione.  

Campana tibetana


Meditazione? Sono rimasta così stupita dal suo approccio che ora sono alla quinta settimana di corso. Protagonisti stavolta erano Timothy D. Wilson, un professore di psicologia presso la University of Virginia, e il suo libro, Strangers to Ourselves (anche questo inedito in Italia, diamine!). Tra i tanti argomenti interessanti, uno era proprio quello delle vincite alla lotteria, perché si parlava di "previsione affettiva". Il concetto è semplice: tendiamo sempre a sopravvalutare quanto un evento potrà influire in positivo o in negativo sulla nostra vita.
Da qui l'esempio: "Se vincessi alla lotteria, risolverei tutti i miei problemi". Sbagliato: quasi si moltiplicherebbero. Per esempio, potresti cominciare a dubitare della sincerità delle persone che ti stanno vicino o decidere di lasciare quel lavoro per cui ti sei lamentato per anni e anni, perdendo in realtà una grande spinta motivazionale che non sapevi ti fornisse (si veda anche la teoria del flusso). Anni fa lessi addirittura di un servizio di sostegno psicologico per questi nuovi ricchi. Insomma: 



Attento a quel che desideri, potrebbe avverarsi.

 Oscar Wilde



A mo' di rassicurazione si parlava della fantastica resilienza umana, ovvero di quella capacità di ciascuno di noi di riorganizzare la propria vita in seguito a un trauma. Anche se il concetto mi piace, continuo a preferire la mia monetina tre giorni a settimana a un paio di miliardi.

Al termine di un'intervista con Mitchel Green, il prof. Wilson ha poi ricordato suo zio e l'abitudine che questi aveva di acquistare un biglietto della lotteria "solo se se ne ricordava a inizio settimana", perché "in qualche modo sapeva che ciò che stava acquistando era la speranza, ovvero quattro o cinque giorni di fantasticherie".

Io rimango invece a fantasticare sulla campana tibetana.





lunedì 8 aprile 2013

Se l'avessi trovata stasera


Stephen Graber - Ophelia
Il fiume nero, la notte, scorre anche se sembra non esserci. Un giorno, dalla finestra, abbiamo visto un corpo esangue sulla riva opposta alla nostra. Col sole del mattino che allungava i suoi raggi come fossero dita, il tempo ha fatto compagnia alle lente operazioni di recupero del cadavere. 

Quando la sera porto giù il cane, supero le macchine e rimango sulla stretta striscia di terra che rimane tra i cofani allineati e il guard rail. Guardo la riva sul lato opposto e ripenso sempre a quel giorno. Poi, tra le fioche luci dei lampioni che rischiarano appena i fili d'erba, temo sempre di ritrovare il corpo d'una donna. Esangue, nuda, coi capelli sporchi e scuri. La vedo rischiarare il selciato, riflettere il pallore della luna.

L'ho guardata, stasera, la luna. Era lì, stretta e contrita tra poche nuvole all'apparenza leggere come fumo.

"Se l'avessi trovata stasera", ho pensato, "l'avrei creduta una morte per indifferenza". 

domenica 7 aprile 2013

sabato 6 aprile 2013

Cose a caso in casa

A intervalli regolari cerco di riordinare la casa per settori. Il cambiamento non è mai epocale, ma rappresenta comunque un miglioramento. Sogno da sempre un ambiente minimalista, vuoto, ma qui sono pochi gli oggetti che si buttano, perché tutto potrebbe tornare utile: l'attaccapanni utilizzato per riparare il lampadario, il ripiano in vetro di un vecchio frigo che è stato trasformato in tavolino prima per andare a sostituire poi il ripiano rotto del frigo nuovo, un dorso rigido per rilegature con il quale abbiamo riparato uno specchio e via dicendo. Stavolta è la volta degli attrezzi. Risultati? 

1) Ora abbiamo, per esempio, scatole tematiche: quella che contiene solo pomelli, quella con gambe di divani e sedie così come quella di bottoni, quella con i cavi telefonici, una di pinze, una di matite (che provengono da svariate generazioni), altre di soli ganci o travette di sostegno o maniglie... e ancora tante altre. Senza contare i cassetti: due di chiodi, uno dedicato ai raccordi idraulici (?!?), un altro alle prese di corrente, un ripiano di cavi. Insomma, il regno di McGyver.

2) Trovo sempre cose che non mi aspetterei mai di avere, per esempio: 

- un disco per il lancio del disco, che già non so più dove sia finito

- un oggetto non meglio identificato (suggerimenti?)





- un tagliapiastrelle



- una bellissima banconota irlandese da 50 pound del 1991 (chi è quel pazzo che non è andato a cambiarla? 50 pound, voglio dire)



- un falcetto



3) Ritrovo cose che pensavo di non rivedere mai più, come questo orecchino...




... e la scarpetta di mia nonna quand'era piccola.



4) Se qualcuno mi regala un oggetto inutile, mi prende una crisi mistica.

giovedì 4 aprile 2013

Illusioni e déjà vu, ovvero di rabarbaro e Gianduja

Biblioteca Nazionale, Piazza Carlo Alberto



L'altro giorno sono uscita per commissioni (torinese)/servizi (potentino) ma poi, attirata dal tepore della giornata e dal fatto che di lì a due ore ci sarebbe stata l'inaugurazione di una mostra fotografica di un'amica, ho deciso di gironzolare un po' per la città.







La luce era bellissima, perché faceva caldo e c'era il sole, ma per uno di quegli strani fenomeni atmosferici che si verificano di tanto in tanto, c'erano anche enormi nuvole e piovigginava.


Palazzo Carignano, Piazza Carignano
Piazza Cavour in fiore





Piazza Carlo Emanuele II
Se si vuole giungere in piazza Carlo Emanuele II, quella nella foto a sinistra, è meglio chiedere indicazioni per Piazza Carlina, altrimenti credo che nessuno saprebbe rispondervi. Il motivo di questo soprannome lo si tenta di spiegare qui.

È molto carina nelle sere d'estate, con i suoi locali e ristorantini all'aperto, anche se generalmente mangiare lì non è molto economico.

Piccola curiosità: durante il periodo di occupazione francese, dal 1800 al 1814, piazza Carlo Emanuele II, qui a sinistra, ospitò una ghigliottina che tagliò ben 423 teste. Ironico il fatto che la piazza, durante quel periodo, fu ribattezzata Place de la Liberté (dalla ghigliottina poi si passò per un certo periodo alla forca - ma per questa il primato ce l'ha ovviamente il Rondò della Forca, dove nel 1960 hanno anche innalzato il monumento dedicato a San Giuseppe Cafasso, ovvero "il prete della forca").



Teatro Giandujia, via Santa Teresa
Teatro Giandujia, via Santa Teresa

Poi mi sono imbattuta nel Teatro Gianduja. Ho pensato "Toh, un teatro che non conoscevo" e l'ho superato senza pensarci troppo ma, percorsi cento metri, ho fatto dietro front. Era forse da vent'anni che non rivedevo quella maschera e sono stata avvolta da una infinita sequenza di immagini che ora girovagano senza capo né coda nella mia testa. C'è un particolare faccione di Gianduja che mi si è incastrato tra l'occhio e la palpebra,  lì dove prende forma il mondo immaginifico che accompagna le parole, come se fosse impresso su un megaschermo cinematografico, e non riesco a ricollegare questa figura e i suoi colori a qualcosa di concreto. Cos'era? Dove l'ho vista? Su una scatola di cioccolatini, una bottiglia, un libro? Mi tornerà in mente non appena troverò una distrazione adatta, già lo so.


Illusioni in piazza Statuto
Infine, il rabarbaro continua a perseguitarmi. L'ho incontrato per la prima volta anni fa: ho acquistato una fetta di torta al rabarbaro alla stazione di Parigi, un attimo prima di prendere il treno di ritorno. Mi sono seduta al mio posto, ho scartato il pacchetto, dato un morso e pensato: "È la cosa più buona che abbia mai mangiato", poi ho fatto cadere la torta per terra, il treno è partito e io ho fatto un viaggio tristissimo continuando a rivivere il momento della disfatta.
A Londra ho di nuovo trovato la torta, ma non il rabarbaro. Quella volta sono miracolosamente riuscita a finirla, ma non era la stessa cosa. 

Quando ho deciso di piantarlo, al suo posto è cresciuta una pianta di peperoncino
L'altro giorno questo cartello mi è apparso come un segno e sono andata a cercare il liquore, ma no, figuriamoci se potevo essere così fortunata: non ne avevano. 

Per me sta diventando una pianta mitologica. Nei prossimi giorni andrò di nuovo a comprare i semi. Sono determinata, sono decisa, avrò il mio rabarbaro. Volere è potere, no?

Già che sei qua
























"Già che sei qua leggi qualcosa!"



Non è il massimo pubblicare la foto di un bagno, ma non ho resistito. 

Ha comunque raggiunto il suo scopo, l'ho notato. 

martedì 2 aprile 2013

I want to ride my bicycle

I want to ride my bicycle, but I can't.


Torino, DDR - Dicembre 2012


Torino, Piazza Castello - Dicembre 2012

Helsinki, Suomenlinna - Dicembre 2011

lunedì 1 aprile 2013

La Mandria, un parco in divieto




Il Parco naturale della Mandria è ad appena due passi da Torino ed è bellissimo, soprattutto quando il cielo è nuvolo e minaccioso e c'è solo una manciata di persone che ha deciso di sfidare l'eventualità di una bella lavata dall'alto. 








Anni fa avevo deciso di visitarne una parte accessibile solo in alcuni giorni e con visita guidata, la zona dei laghi, e mi avevano spiegato che vi è anche una zona del parco che viene mantenuta intatta sin dal 1800 a cui hanno accesso solo naturalisti e biologi che si occupano di studiarla. So inoltre che si organizzano gite notturne, sessioni di trekking all'alba con colazione (fossi un po' più mattiniera...) e tante altre cose.  



Oggi, un po' per gioco, ho iniziato a fotografare i diversi divieti in cui incappavamo: lo sapevate che la Mandria è praticamente un parco in divieto? 

Con le multe ancora in lire. 



















Da notare che il divieto è ASSOLUTO




Anche i cavalli: sono mansueti ma possono mordere!






Tanti divieti e segnali di pericolo di hanno talmente stressate che abbiamo deciso di prenderci una pausa e rifocillarci come si deve (anche perché, ridendo e scherzando, abbiamo macinato una quindicina di chilometri).



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