venerdì 16 ottobre 2015

Il ritorno del pendolo, di Bauman e Dessal

Tra Zygmunt Bauman e Gustavo Dessal, pensatore di fama mondiale il primo e psicoanalista il secondo, il dialogo è serrato e complesso, nonché di estremo interesse. Un dialogo, il loro, che ha dato corpo a un saggio, Il ritorno del pendolo – Psicoanalisi e futuro del mondo liquido (Edizioni Erickson, con traduzione di Riccardo Mazzeo) dove, seguendo esattamente un’oscillazione che delinea un movimento tra le due voci, si muovono le fila dei loro pensieri sul mondo e la società.
Il la che dà il via a questo scambio è Freud e il suo Il disagio della civiltà, la cui attualità, come ricorda subito Dessal: “non solo continua a essere inalterata, ma […] getta n...Continua qui.

giovedì 8 ottobre 2015

Il paradiso degli orchi, di Daniel Pennac

Lo scrivo con titubanza perché è un’ammissione in piena regola: non avevo mai letto Pennac. Per motivi stupidi, ammetto anche questo. Anni fa qualcuno, parlandomene, lo aveva definito il Benni francese, e a me, che adoro Benni, non era andata giù.  Quest’anno però Il paradiso degli orchi si è insinuato in casa per mano di un amico, iniziando dapprima a farsi strada nel mio immaginario con quei tre orchi e il cane in copertina e catturandomi infine quando, qualche giorno fa, avevo bisogno di una lettura da portare con me. Così, mentre la folla dell’autobus mi carpiva in quella calca di corpi dell’ora di punta, Pennac lo faceva col suo velo da sposa. Ve lo ricordate? Il romanzo inizia così: “La voce femminile si diffonde dall’altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa”. Una mancanza di peso così esatta a cui è difficile opporsi (un grazie doveroso alla traduttrice, Yasmina Melaouah), una leggerezza del linguaggio che mi ricordava in qualche modo il Calvino delle lezioni americane, perché il mondo di Pennac non aveva affatto l’impressione d’essere di pietra.
E di fatto Pennac non diventa di pietra mai: ...
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giovedì 1 ottobre 2015

Traduzione attiva e passiva: alcune riflessioni

Ieri ho postato su Facebook un indovinello: indovina la lingua madre di chi ha tradotto in EN il testo: "...and to repurchase a dignity".

Questo stralcio è tratto da una serie di documenti che sto traducendo dall'inglese all’italiano insieme a una collega. I casi di studio descritti si riferiscono a progetti attuati in diversi paesi del mondo e ognuno è stato probabilmente tradotto da persone appartenenti all'organizzazione coinvolta: quindi né traduttori, né tanto meno madrelingua inglesi.

Gli esempi che abbiamo riconosciuto essere stati tradotti da italiani ci hanno fatto sorridere perché il senso, almeno per noi, era piuttosto palese e seguiva la logica della nostra lingua (vedi “…and to repurchase a dignity”). Quelli che invece erano stati tradotti da persone di paesi diversi sono stati fonte di sofferenza.

Questo può servire a ricordare quanto sia importante per il cliente affidare la traduzione dei testi a persone capaci di padroneggiare perfettamente la lingua di arrivo, ovvero madrelingua o madrelingua tardivi.

Tuttavia oggi vorrei presentarvi un altro punto di vista: un collega con cui ho parlato di recente mi spiegava infatti che, lavorando in azienda, si trovava nella situazione di dover tradurre in attivo o di dover direttamente redigere dei testi in una lingua diversa dalla propria, nel suo caso l'inglese. Vista la diffusa mancanza di una conoscenza specifica del lavoro in sé, è una cosa che in questi ambiti viene richiesta spesso e la persona interessata non è certamente nella condizione di rifiutare. L'aspetto che su cui vorrei concentrarmi è però un altro: nel tradurre o creare ex novo un testo in inglese, il collega si trova di fronte a due particolari esigenze del cliente (in questo caso l'azienda che lo ha assunto), una esplicita e l'altra implicita. Vi spiego meglio
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