martedì 25 settembre 2012

Uno dei lavoro più affascinanti e difficili del mondo

Si raccontano tanti aneddoti su quanto sia sottovalutato e poco considerato il lavoro dei traduttori o degli interpreti. Tutte le volte mi viene in mente mio nonno che, ogni volta che guardavamo in tv un documentario sugli animali di qualche sperduta zona del pianeta, con la voce nella lingua originale in sottofondo soppiantata da quella in lingua italiana, mi diceva spesso, con ammirazione: "l'interprete fa uno uno dei lavori più affascinanti e difficili del mondo". E sorrido.



lunedì 24 settembre 2012

Anno dopo anno


Guardavo le file d’alberi sfilare oltre la grande vetrata dello scompartimento, il cielo vuoto e brillante che ne riempiva una gran parte. Respiravo piano, con meticolosa attenzione, quanta più aria potevo, ma era così calda e pesante che, invece d’essermi d’aiuto, non faceva altro che gonfiare ed esasperare la mia ansia.

L’idea di rivedere il mio paese dopo venticinque anni mi spezzava morbidamente in due: la donna che ero, le aspettative di un tempo, la dolcezza che ogni cosa può assumere a distanza di anni ma che la ragione inneggia a non trasformare in illusione. Pensavo ai miei genitori, ai loro visi, alle loro voci alterate e rotte nel giorno in cui me ne ero andata di prepotenza, orgogliosa e arrabbiata.
Tutto mi si agitava nello stomaco, insieme al più recente suono delle loro parole al telefono. Mi sentivo d’un colpo ragazzina, spaurita, insicura. Ogni cespuglio, ogni chiazza di verde o tetto, strada o uccello oltre a quel finestrino sembrava un appiglio a cui potersi aggrappare, se non con le mani, almeno col pensiero.

Calda, aria calda, tutto caldo intorno a me. La stazione piccola, deserta, desolata, era esattamente come la ricordavo. Mi sistemai meglio la tracolla della borsa, presi la valigia e mi incamminai verso l’uscita. Nei momenti in cui il cuore non sembra battere ma traballare in petto, sensibile alla violenta emozione che sente prossima, vi sono sempre insignificanti dettagli pronti a creare apprensione e disagio: i capelli impigliati nella vite degli occhiali, la calza ripiegata un po’ storta nella scarpa, il sudore che imperla la fronte. 

Cercavo di pensarci il più possibile un passo dopo l’altro (prima il sottopasso, poi le scale, l’atrio inesistente e il piazzale antistante scintillante di sole); cercavo di pensarci e di sfuggire quell’ansia montante (calza, sudore, capelli). Poi mi sono fermata (calza, sudore, capelli), mi sono guardata attorno (capelli, sudore, calza), e poi (ripetendo il mantra sempre più velocemente) li ho visti (mi è scivolata la valigia dalla mano sudata e, chinandomi d’istinto per riprenderla, gli occhiali l’hanno seguita a ruota, rimanendo sospesi a mezz’aria, attaccati ai capelli). 

I miei genitori erano lì, più minuti di quanto ricordassi, bonariamente sorridenti, entrambi con gli occhi lucidi e i segni dell’aridità del tempo a disegnarne il viso. 
Rimanevano i miei genitori e venticinque anni di rancore, orgoglio e silenzio mai mi erano sembrati più palesemente insulsi e infantili come in quel momento.

Ci abbracciammo, piangemmo, sorridemmo nel medesimo istante. Le parole, dapprima timide, cominciarono ad essere veloci, incalzandosi.

Furono giorni intensi come ne ricordo pochi altri; furono giorni importanti, perché da allora ho ricominciato a parlare con loro e ad andare a trovarli con regolarità. Oggi sono madre anche io e molte cose le vedo diversamente.

Quello  che ora mi è più chiaro è che l’amore delle persone che ti hanno cresciuta non soffre d’orgoglio o di prese di posizione. Può averne, ma non sono estreme, né eterne. Me ne accorgo quando guardo mia figlia, o quando ripenso all’ultimo giorno di quella prima visita: di nuovo alla stazione, mia madre mi mise in mano un involto prima che salissi sul treno. “Che cos’è?” “Quello che non ti abbiamo raccontato di questi anni passati”. Dentro vi trovai venticinque diversi piccoli oggetti e altrettanti biglietti ad accompagnarli, scritti in anni diversi ma con le stesse identiche parole: “Ti vogliamo bene, buon compleanno”. 

sabato 22 settembre 2012

Umberto Maria Giardini

Ieri è stata finalmente pubblicata l'intervista di Luca a Umberto Maria Giardini, dai più conosciuto come Moltheni. Ho visto anche le date del tour e ho già capito che a novembre dovrò fare in modo di essere a Torino. Sono riuscita a vederlo dal vivo una volta sola, a Roma, qualche anno fa. Poi, per un motivo o per l'altro, ci trovavamo sempre nella città sbagliata al momento sbagliato.


Intanto, il 5 ottobre esce il nuovo disco. Il video di "Quasi Nirvana" ne è un godibilissimo preludio.

venerdì 21 settembre 2012

giovedì 20 settembre 2012

Ipocondria fantastica

L'altro giorno ho iniziato a leggere "Ipocondria fantastica", un libro che avrò il piacere di recensire. L'autrice è Marina Mander, che credo si sia molto divertita a scrivere questi nove racconti sulle malattie immaginarie della nostra epoca. Penso al divertimento perché è, inaspettatamente, la sensazione che provo tra le sue pagine. Ogni racconto è ricco di giochi di parole, scritto con una prosa estremamente curata e intercalato in un mondo immaginifico che è un po' grottesco, un po' poetico e sembra sempre solo uno spiraglio di una realtà più grande. Insomma, "Ipocondria fantastica" è una bella boccata d'aria. E io me lo godo con calma.

La copertina, quella, mi inquieta un po'.

Aggiornamento: la recensione si può leggere qui.

mercoledì 19 settembre 2012

Fuori orario

Anche a cena fuori, Google Translate mi perseguita.



Di rimando, ho già inviato un'email all'azienda in questione.

martedì 18 settembre 2012

La bella vita dell'Emilia-Romagna

Per questioni di salute ho dovuto fare una piccola gita fuori porta che, per una scusa o per l'altra, non guasta mai. Non ero mai stata a Imola, se non di passaggio. L'ho vista poco, nello spazio delle tre ore di attesa che dovevo sorbirmi, ma da quel poco che ho visto è graziosa, estremamente tranquilla e, soprattutto, a misura di ciclista.





Il castello sforzesco

E questa è la lettura che mi ha accompagnata in questo viaggio.

Mi chiamo Irma Voth, di Miriam Toews
Trad. Daniele Benati, ed. Marcos e Marcos



sabato 15 settembre 2012

Porta Susa

Ieri siamo andate a prendere un'amica alla stazione di Porta Susa. Non ci andavo da molto, ma da quanto? Siamo passate per l'entrata di corso Bolzano e il cambiamento è abissale, perciò non c'è da stupirsi che mi abbia lasciata di stucco. 


L'ingresso di corso Bolzano


Non ricorda vagamente uno di quei film di fantascienza ambientati nel futuro?


Da notare la mancanza di qualsiasi forma di vita, animale o vegetale. Se fosse davvero il futuro, sarebbe piuttosto desolante.

giovedì 13 settembre 2012

Il Bunker

La mia amica appassionata di fotografia scova sempre qualche particolare posto, in Torino, che vale la pena visitare. Prima era "via Foggia", una sorta di ex fabbrica data in concessione dal Comune che i giovani avevano trasformato in un locale/museo d'arte in costruzione.

Dentro vi si trovava un bar che vendeva birre e bibite a pochi euro, panche costruite con pallet colorati, giocolieri, una minuscola piscina gonfiabile con una dama galleggiante, acrobati, murales meravigliosi e nell'aria sempre un po' di musica. La scorsa estate quello spazio è stato chiuso e demolito perché al suo posto venisse costruito un anonimo palazzo.




L'ingresso del bunker

Evidentemente di un posto così se ne sentiva la mancanza, perciò oggi a Torino c'è il Bunker (Via Paganini, 0/200). Si tratta sempre di un ex fabbrica, ma in questa vi è annesso un ex bunker che nella seconda guerra mondiale veniva utilizzato dagli operai durante i bombardamenti aerei. Lo si può visitare solo di giorno, altrimenti "la sera è ingestibile", ci ha spiegato il ragazzo che, torce alla mano, ci ha gentilmente accompagnate a visitarlo. Non ho potuto scattare foto, era molto buio.





Il sentiero che porta al bunker

Dentro vi stavano circa 120 persone, ognuna nel suo settore, ognuno al suo "numero" indicato sulla parete. Altro non è oggi che un lungo corridoio, stretto, diviso a scomparti e un po' zigzagante, con l'aria un po' pesante e qualche muffa che cresce sul muro. Un tempo è stato il luogo che ha salvato delle vite. In futuro sarà probabilmente un'opera d'arte.



 Il Bunker, e qui intendo il locale, di sera, dalle 18.00 alle 3.00 del mattino, si trasforma in luogo di ritrovo. C'è sempre un bar, stanno comparendo anche qui coloratissimi murales, vi è un vecchio pullman giallo, antichi oggetti dappertutto e l'ex fabbrica, arredata con carrelli ammorbiditi da materassi, pellet e poltroncine raccattate in giro. Fuori vi è un bel piazzale spazioso, tanti alberi e verde. Insomma, una vera meraviglia.





 









mercoledì 12 settembre 2012

Mio marito sopporta e mangia le cose anche se bruciate

Ho appena ascoltato un'intervista rilasciata da una scrittrice (di cui non pubblico il nome, visto che non è il caso nello specifico che conta) in cui questa racconta che alle volte, trovandosi a cucinare e a fantasticare contemporaneamente, si dimentica qualcosa sul fuoco che finisce immancabilmente per bruciarsi. 

- "...e suo marito?", chiede prontamente il giornalista.
- "Mio marito sopporta e mangia le cose anche se bruciate".

Oggi ce l'ho coi mariti che "sopportano". Lode al marito capace di sopportare o "che marito cretino", che preferisce un piatto bruciacchiato al mettere da sé una pentola d'acqua a bollire sul fuoco?"

Forse mi sono svegliata troppo presto e mi sono inacidita. 


giovedì 6 settembre 2012

Sì, siamo stati bene

Sì, siamo stati bene, anche se il tempo non è stato sempre dei migliori. Questa era la terza volta che mi son trovata a Nizza la Bella ma la prima in piena estate, col sole e i turisti ad affollare le vie. La trasformazione non è radicale così come m'aspettavo, ma certo è più piacevole poterla visitare senza ombrello, sciarpa e giaccone. Anche stavolta è riuscita a stupirmi con la sua bellezza.


Adoro i prati tra le rotaie!



Siesta. L'espressione era splendida.






Queste ultime due sono le mie preferite. La prima per l'albero e per quei due ragazzi che cercavano di fotografarsi insieme che, non so per quale ragione, mi sembravano estremamente romantici.




Quest'ultima, scattata la mattina della partenza, per i colori e per il gran coraggio di quegli irriducibili vacanzieri.
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