sabato 30 novembre 2013

Spesso dimentichiamo le cose quando non abbiamo qualcuno a cui raccontarle

"Spesso dimentichiamo le cose quando non abbiamo qualcuno a cui raccontarle".

Mi ha cotta a fuoco lento, Lunchbox, il film di Ritesh Batra che sono andata a vedere ieri sera al cinema con mia nipote. L'ho trovato agrodolce al punto giusto, curioso e divertente. Racconta dell'amicizia, o dell'amore, che dir si voglia, tra Ila e Saajan - lei casalinga, lui impiegato all'ufficio reclami in attesa della pensione, che entrano in contatto grazie a un errore nella consegna del pranzo da parte dei dabbawala (figure di cui ignoravo l'esistenza fino ad oggi). Tutto traspare attraverso il cibo, i sapori, la cura e l'amore della preparazione e una comunicazione talvolta fatta di parole, a volte solo di odori e piccoli gesti di premura.

In un'intervista a Ritesh Batra ho poi letto che hanno cercato di limitare al minimo gli incontri tra gli attori protagonisti, Irrfan Khan e Nimrat Kaur. "Sono due le storie che si sviluppano", ha spiegato il regista. "C'è quella sotto gli occhi di tutti, ovvero le lettere che vanno avanti e indietro, e poi c'è quella dentro Saajan e Ila, che hanno una propria idea sull'identità e l'aspetto dell'altro. E quest'idea è sacra. Non ho mai chiesto a Irrfan e a Nimrat quale fosse. [...] Volevo ci fosse qualcosa di palpabile in loro, come una fantasia su chi sia questa persona, su cosa accadrà quando si incontreranno. Penso che i loro personaggi funzionino perché vi è quest'altra storia dentro di loro. Non so cosa sia, ma ero ben consapevole della sua esistenza".

La cosa particolare, che ho notato solo ora mentre cercavo il trailer da integrare nel post, è che nella versione originale alcune parti (quelle in cui parla Ila) sono in hindi con sottotitoli in inglese, mentre nella versione italiana hanno optato per una traduzione integrale. Non è scelta da poco, soprattutto considerando che la pellicola è ambientata in India, un paese dove - come altrove - le forti distinzioni sociali  si manifestano anche attraverso l'espressione linguistica.

Versione originale - inglese e hindi (con sottotitoli in inglese)*



*per qualche ragione a me sconosciuta, integrando il video scompaiono i sottotitoli, perciò è meglio guardarlo direttamente su YT

Versione tradotta - italiano (senza sottotitoli)


giovedì 28 novembre 2013

Maugham e l'arte

Re di cuori - mio
A mio parere, ciò che vi è di più interessante nell'arte è la personalità dell'artista, e quanto più questa è singolare, tanto più sono pronto a perdonare alle sue opere mille imperfezioni. Velázquez è, immagino, un pittore più grande di El Greco, ma vi è in lui una certa stabilità di toni che finisce con l'intiepidire la nostra ammirazione, mentre invece il cretese, sensuale e tragico, ci presenta il mistero della sua anima in un perenne e mistico sacrificio. L'artista, pittore, poeta o musicista che sia, con le sue opere soddisfa il nostro senso estetico, legato alla sensualità primitiva, ma ci fa anche dono di se stesso. E il segreto della sua anima ci affascina a volte quanto un romanzo poliziesco. È un enigma per il quale non vi è soluzione. 
[...] 
Non condivido l'opinione di certi critici presuntuosi i quali negano al profano ogni competenza in materia artistica, e gli  concedono solo il diritto di firmare grossi assegni per comprare quadri. Pretendere che l'arte riveli i suoi misteri solo agli iniziati è semplicemente grottesco: l'arte è la manifestazione di un'emozione, e il linguaggio emotivo può essere compreso da chiunque. Però ammetto che un critico, privo di una vera competenza tecnica, non può essere in grado di emettere un giudizio di qualche peso: e la mia ignoranza in fatto di pittura è estrema.
 [...] 
 La facoltà di creare miti è innata nella natura umana, che concentra avidamente il suo interesse sui particolari curiosi o sorprendenti della vita di chi si distingue dalla massa dei contemporanei. Nascono così talune leggende cui ci si attiene con fede fanatica, poiché un desiderio di sogno romantico ci induce ad evadere continuamente dalla banalità della vita di ogni giorno. Di solito questi episodi leggendari diventano per l'eroe fortunato un sicuro passaporto per l'immortalità. Un ironico filosofo può sorridere del fatto che la fama di Walter Raleigh sia affidata più al suo gesto di stendere il mantello ai piedi della regina Elisabetta che non alle sue imprese in terre lontane.  

Somerset Maugham, La luna e sei soldi, traduzione di Elisa Morpurgo

Per me Somerset Maugham è una di quelle letture che si affrontano - e gustano - con molta, molta lentezza. Ho riportato questi brani perché interessanti, ma quello centrale soprattutto perché risponde bene a un vecchio discorso tra me e L. (avvalorando la mia posizione!). Siete d'accordo con (il personaggio di) Maugham? Secondo voi, chi può giudicare l'arte?

martedì 26 novembre 2013

Torino Sommersa

Poi pensi: "Si saran già fatte le 23.00 e mi sono scordata di cenare", invece sono le 19.00, sono perfettamente in tempo e già a 3/4 del lavoro. Però tra un miscelatore e una sospensione, nella mia pausa fatta di biscotti e di tisana finocchio, melissa e liquirizia, oggi pensavo a Torino col mare e mi è tornato in mente Andrea Gatti, e con lui le sue opere, che andai a vedere in una libreria ormai diversi anni fa. Eccone alcune.


Basilica di Superga
Mole Antonelliana

Panorama

Porte Palatine


Piazza Castello
Turet
Ovviamente a Torino si era parlato anche del fantomatico progetto di creare (o portare?) il mare in città. Lo ricorda anche Giuseppe Culicchia in Torino è casa mia, se non sbaglio. Perché se è vero che Torino è una città molto dinamica dove han preso slancio tantissime attività anche e nonostante i torinesi, è altrettanto vero che noi torinesi, per l'appunto, sogniamo di lasciarci andare alla pigrizia - e di non dover percorrere la terribile Torino-Savona (l'ultima volta che mi ci sono trovata nell'ultimo tratto piangevo per la paura, senza esagerare). Poi il prezzo della benzina è aumentato, è stato scoperto il treno, hanno iniziato a esserci più voli low-cost da Caselle e da Cuneo per località caraibiche (Bari e Olbia), e per queste ragioni il progetto è sfumato. Troppa fatica.




domenica 24 novembre 2013

Indovina la citazione #1

"In genere si può dire che la tendenza dello spirito moderno è di ridurre tutto il mondo una nazione, e tutte le nazioni una sola persona. Non c'è più vestito proprio di nessun popolo, e le mode in vece d'esser nazionali, sono europee ec.: anche la lingua oramai divien tutt'una per la gran propagazione del francese, la quale io non riprendo in quanto all'utile, ma bene in quanto al bello."

Senza l'aiuto di Google, ovviamente.

Aggiornamento con soluzione: Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, 3 luglio 1820.


La mia fonte: Tim Parks, Giornate della Traduzione di Urbino 2013

giovedì 21 novembre 2013

L'ultima sigaretta, un racconto

Il giorno che diventammo umani


Il 26 settembre 2009, intorno all’una e un quarto della notte, mentre fuori un cielo pieno di nuvole scure si chiudeva intorno a Padova, lui, disteso sul letto matrimoniale in stile futon, accanto al sonno profondo di sua moglie, fu scosso da un attacco improvviso e violentissimo di tosse...

Inizia così questo racconto, che potete leggere integralmente qui. Si intitola "L'ultima sigaretta", è stato scritto da Paolo Zardi e fa parte della raccolta "Il giorno che diventammo umani" (Neo Edizioni).  

Ah! La copertina, che secondo me è bellissima, è opera di Toni Alfano. Sul suo sito la trovate in versioni dai toni un po' più inquietanti. 

mercoledì 20 novembre 2013

Giornate della traduzione di Urbino 2013, spizzichi e bocconi

XI Giornate della traduzione letteraria



Come dicevo nell'altro post, alle Giornate della traduzione di Urbino ho seguito tantissimi seminari interessanti, ma invece di fare un elenco dei vari interventi ho pensato di segnalare giusto quelli che potrebbero avere un'utilità anche per i semplici curiosi.







Daniele Gewurz
Primo fra tutti, anche in ordine cronologico, il seminario di Daniele Gewurz sui Dragomanni, realtà da lui creata che, se siete lettori, non dovreste perdervi: ci sono tutte pubblicazioni di qualità e per lo più gratuite. Se invece siete traduttori, si tratta di un'iniziativa molto bella, potreste farci un pensiero.

Insomma, andate tutti a dare un'occhiata.




Alessandra Roccato

Poi c'è stato l'intervento di Alessandra Roccato, che ha trattato della traduzione delle scene di sesso in un romance storico. Ecco, se ve lo steste domandando, credo che per alcuni aspetti sia molto più difficile di un testo di ingegneria. Non ci credete? Provate! Il  testo che c'era da preparare per il seminario era questo.





Maria Teresa  Carbone
Maria Teresa Carbone ha affrontato i temi di traduzione e giornalismo, riprendendo la spinosa questione del traduttore (letterario) fantasma, ovvero di quella figura professionale ignorata completamente da stampa e giornali, i quali riportano recensioni di libri stranieri senza mai indicare che la resa italiana di queste opere la si deve, appunto, a questi esseri innominati

Il problema è che a questo proposito c'è una legge che dice... Ecco, scopritelo. Perché una cosa che ha fatto Maria Teresa Carbone è stata ricordare il manifesto dei Cavalieri erranti della letteratura, datato 8 maggio 2003.

Il recensore che si prodiga in elogi dello stile, delle scelte lessicali, delle acrobazie linguistiche di un autore, se ha letto il libro in originale dovrebbe sentire il dovere di commentarne la resa italiana; e se l’ha letto in italiano, dovrebbe ricordarsi che ha letto le parole, le frasi e i ritmi scelti dal traduttore.
dal manifesto dei Cavalieri erranti della letteratura


Beata Lazzarini e Susanne Kolb
Beata Lazzarini Susanne Kolb hanno trattato dei neologismi nella nuova edizione dei dizionari Zanichelli per le lingue inglese, francese, spagnolo, tedesco e italiano e in diverse sfere tematiche, come i nuovi modelli sociali, i fenomeni collegati ai nuovi media, economia e finanza, ecologia, cibo e bevande. Perché vi possiate fare un'idea, hanno riportato la frase di un giornalista che si è divertito a usare questi neologismi (l'articolo completo qui): 

"Un adultescente inzitellito con contratto cocopro ma che veste bling bling, è affetto da ludopatia e consuma shortini. Se questo è l'identikit dell'italiano 2014, non siamo messi benissimo. Ma stando a come ci esprimiamo questa è la situazione."
Poi, tra quelli che ho seguito si sono dimostrati splendidi anche i seminari di Anna Mioni ("I passi che portano alla traduzione di un libro: negoziazione dei diritti, trattativa, intermediari"), Giovanna Scocchera ("Che cos'è la revisione? Un percorso conoscitivo fra teoria e pratica professionale"), Elena Battista (Dalla Terra alla Luna: viaggio nell'editoria dall'Italia all'Inghilterra. Guida pratica per chi non vuole arrendersi") e Tim Parks (che ha parlato di traduzione, identità nazionale, globalizzazione).

Direi che il prossimo anno, se tutto va bene, sarò di nuovo là.



lunedì 18 novembre 2013

La mia Urbino!

Non ho poi raccontato più nulla perché sono ripartita e mi sono fatta trascinare da altri eventi, ma quest'anno per la prima volta ho partecipato alle Giornate della Traduzione Letteraria di Urbino, ed è stato bellissimo. Ero talmente decisa a non perdermele che lo stesso giorno di apertura delle iscrizioni - a luglio - io ero già in lista per poter prenotare i seminari.

Organizzandomi con altre due amiche e colleghe, ci siamo ritrovate alla stazione di Bologna e abbiamo proseguito il viaggio insieme. Urbino ci ha accolte così.


Vista dalla finestra dell'albergo - giorno
Vista dalla finestra dell'albergo - notte




Se non fossero bastate la fantastica compagnia, le cresce squisite e la città fiabesca, si è rivelata un'esperienza splendida anche dal punto di vista professionale, perché gli incontri trattano davvero una varietà molto ampia di tematiche. Di questo però ne parlerò nel prossimo post. Per iniziare, lascio un po' delle fotografie che sono riuscita a scattare in quei quattro giorni. Io non ero preparata a una tale massiccia dose di bellezza!


Vicoli






Duomo
  



Per il dentista, seguire la freccia!





Magie notturne


Panorama


Non male, vero? 

giovedì 14 novembre 2013

Di attesa e traduzione

Oggi sono rimasta un po' imbambolata davanti allo schermo del computer, complice anche la connessione estremamente lenta.

Ecco, se Internet è essenziale per il tuo lavoro, la connessione lenta (o del tutto assente) è una di quelle cose che misurano la maturità di una persona, perché impari a gestirla solo col tempo: le prime volte ti viene il nervoso, chiami il gestore della linea ogni cinque minuti, ricontrolli tutti i cavi, provi ad allacciarti a reti Wi-Fi casuali, cambi stanza, accendi e spegni il computer e ti trattieni dal tirargli qualche colpo qua e là, come con la televisione. Con gli anni e l'esperienza (ovvero una buona dose di rassegnazione e menefreghismo), capisci che l'attesa è l'unica soluzione, che questa lentezza non dipende dal gestore ma dalla pioggia/nebbia/primavera/digestione dell'impiegato che ti risponde al telefono, che tutto dipende da un ordine cosmico a se stante dove tu sei solo una pedina e che i tuoi nervi stanno meglio se semplicemente accetti la sconfitta, attendendo quei 15/20 minuti buoni perché la pagina che ti interessa finalmente si carichi.



Nel tempo dell'attesa, beatamente imbambolata, ne ho approfittato per rileggere due interviste sulla traduzione che avevo lasciato aperte sul browser. Le ho già condivise, ieri e stamattina, ma a farlo ancora qui che male c'è? Io ne riporto solo un pezzettino per ciascuna, ma ci sono i link di riferimento per poterle leggere nella loro interezza. Buona lettura!
A translator must have a style and an identity of her own in order to be able to faithfully reproduce the author's style and identity, and must be a writer in order to identify completely with someone else's writing. For one person, this is an "art", for another, it's a "craft". I don't care what term is used. For me what matters is the fine equilibrium between being myself and being true to the author beside whom I put myself when I'm re-creating his or her voice.
Dall'intervista di Ilaria VarrialeSilvia Pareschi (non c'è una pagina Wikipedia?!), traduttrice letteraria. L'intervista completa qui
The inaudible "click" when a translation suddenly, unexpectedly comes right after weeks of resistance. These small epiphanies are what make translation so rewarding. And I think perhaps these moments of insight are happening all the time when we translate or when we read poems closely, carefully, - it's the sense of involvement that enriches me the most, when a poem truly starts to matter and not just to mean.
Dall'intervista a George Messo, traduttore letterario. L'intervista completa qui (se non lo conoscete, Authors & Translators è un blog molto interessante dove tutti i giorni o quasi viene pubblicata un'intervista - con domande standard - a traduttori e autori da tutto il mondo).



Se non avessi avuto la possibilità di rileggere quelle due pagine mi sarei data alla lettura vera e propria (Lezioni di francese, di Peter Mayle con traduzione di Serena Lauzi). Voi, invece? Sempre che lavoriate con Internet e abbiate il mio stesso problema, che fate nell'attesa?

martedì 12 novembre 2013

Torino a Paratissima

Di Denis Zulian

"Torino, vista attraverso gli occhi di un torinese che da 14 anni vive e lavora a Londra. Torino, città in movimento, città in cui convivono la monumentalità della storica capitale sabauda con il colore di una capitale europea contemporanea. Torino, teatro di storia, di sperimentazione, di vita."

domenica 10 novembre 2013

Paratissima a Torino

Ma che bella Paratissima! Qui trovate il sito ufficiale dell'evento, organizzato per il secondo anno di fila all'ex-MOI (ovvero i Mercati ortofrutticoli all'ingrosso di Borgo Filadelfia), che è uno spazio enorme in cui ci si perde facilmente e ci si diverte molto. 

L'evento è gratuito e ospita opere di tutti i tipi e di tutte le dimensioni: quadri, foto, murales, cose appese al soffitto, statue fatte con materiali strani che sparano bolle di sapone, colori, colori, colori.

Da uno spazio espositivo all'altro, senza interruzioni:
l'annientamento dello spazio "espositivo"


Anche la gente è di tutti i tipi, tra artisti che chiacchierano, altri che creano la propria opera sul momento e poi famiglie, squadre di colleghi in gita, ragazzini e nonni. Non c'è chiaramente l'aria triste dei musei a rovinare l'atmosfera.




Come abbiamo resistito



Ieri sera i cancelli chiudevano intorno alla mezzanotte, ma noi siamo rimasti ancora un po' lì nel cortile a chiacchierare, cercando di resistere alla tentazione di mangiare un po' di salsiccia di Bra o le patate ripiene di formaggio caprino e pancetta o la panna cotta ai frutti di bosco freschi...

[Ho visto che alcuni sono giunti sin qui cercando informazioni su queste patate. Ebbene, normalmente si trovano da Poormanger, in Via Maria Vittoria 32/D. Torino, ovviamente]


Di seguito alcuni dei progetti che mi sono piaciuti di più.

Suture, di Luca Caridà

"Suture è una riflessione sul ruolo dell'immagine pubblica nel concetto di bellezza, in un contesto, quello contemporaneo, che rispetto al passato rende accessibile in maniera relativamente semplice l'intervento fisico sul proprio corpo. La parametrizzazione del concetto di bellezza sfuma la nostra identità, attraverso gli strumenti della chirurgia plastica ed estetica. Il risultato è una galleria di esseri grotteschi, ingenui, artificiali, inautentici. Strappi di riviste e ritratti clinici."

Suture, di Luca Caridà
Suture, di Luca Caridà



Fonte



Lesbica non è un insulto
. Il sito del progetto, a cui secondo me vale la pena dare un'occhiata, lo trovate qui.
























Lo scritto di Elisa Giannelli (insieme alle sue fotografie).

"La vita è un'attesa. Di vedere la prima luce prima di nascere, di imparare a mangiare prima di lasciare il seno materno, di cominciare a parlare prima di smettere di gemere, di camminare dopo aver imparato a gattonare. Siamo sempre in attesa che qualcosa o qualcuno si manifesti nella nostra esistenza. Attendiamo che arrivi la bella stagione, il fine settimana, il giorno della maturità, il giorno della laurea, il primo giorno di lavoro, il ritorno di un affetto, la nascita di un figlio. Sono proprio queste attese a segnare le nostre giornate, molto più dell'evento stesso che si concretizza o della persona che di fatto incontriamo. Viviamo il nostro presente sempre alla luce di un certo e incerto futuro. E guai a credere a chi vorrà farci pagare un biglietto per smettere di attendere. Anche se ci riuscissimo, perderemmo il senso profondo della nostra vita: l'attesa. 
Talvolta si sente dire che i fotografi ritraggono nei loro scatti quasi esclusivamente le proprie vite, pur concentrandosi sui momenti delle vite altrui. Lo fanno in maniera inconscia e apparentemente nascosta. Non credo di farne eccezione. E forse è proprio questa la vera ragione del progetto: non sarei in grado di riconoscere appieno le situazioni che rivestono il valore simbolico dell'attesa se non avessi provato sulla mia pelle le stesse emozioni cui le mie immagini provano a dare forma. E l'auspicio più grande che io possa avere è quello di far si che chi osserva i miei scatti percepisca l'essenza dell'attesa, quella che tiene i propri sensi in allerta anche se poi nulla accade. Un'attesa beckettiana e leopardiana, una realtà silente e sospesa alla Hopper, un deserto dei Tartari in cui ci si chiede - come insegna Cesare Pavese - Qualcuno ci ha promesso qualcosa? E allora perché aspettiamo?
A me piaceva la fretta di fronte all'attesa.
Mi ricordava gli animali impauriti di fronte ai fari di una vettura.

Insomma, oggi è l'ultimo giorno e rimarrà aperta fino alle 22.00, perché non farci un salto?

sabato 9 novembre 2013

8 hours Labour, 8 hours Recreation, 8 hours Rest

Robert Owen, 1817

Da lunedì mi sono imposta ritmi di lavoro regolari e precisi: otto ore di lavoro, niente straordinari e la sveglia anche per la pausa pranzo. 

È un esperimento. Vorrei capire come si sta seguendo una routine regolare. 

Come mi ci trovo? Non saprei dire (per ora mi sembra un incubo), mi sento prosciugata d'ogni parola (infatti questo è un post sul non avere nulla da dire) e paradossalmente sono più stanca di prima (forse perché finisco per dormire un'ora in meno?). Tuttavia non demordo (ma mi annoio tantissimo). 

Un tempo avevo desideri più semplici, tipo poter cantare Goblin Girl a squarciagola. 



mercoledì 6 novembre 2013

Confini incerti, un brano

Il periodo della detenzione fu uno dei più divertenti della sua vita. Non dovette affrontare una prigionia lunga e severa in una fortezza inaccessibile, come Silvio Pellico, ma rimase nella piccola galera di Cakovec servito dai secondini, pochi giorni prima suoi subalterni.
Inoltre era in ottima compagnia, giacché la stragrande maggioranza degli intellettuali e buona parte della nobiltà illuminata erano esuli o prigionieri. I carcerieri, poveri diavoli, assumevano un aspetto truce solo durante l'ispezione del direttore, ovviamente austriaco. Per il resto erano più che disponibili a chiudere un occhio e dietro compenso anche tutti e due, per la mancata osservanza delle regole. E le regole, di fatto - se possiamo dar credito ai racconti tramandati dai figli del signor Dusan - si trasgredivano ogni giorno. 
I bei tempi andati! Non c'era bisogno di permessi complicati, né di certificati di buona condotta per facilitare i rapporti familiari, almeno non nel caso di questi piccoli rivoluzionari da operetta. L'amministrazione già allora risparmiava sul vitto degli arrestati e tollerava, anzi promuoveva, l'iniziativa delle consorti di integrare la mensa piuttosto parca del carcere. 
Le donne, a quei tempi, avevano poca dimestichezza con la politica. E le mogli, perlomeno all'inizio, avevano vissuto le condanne dei mariti, dei figli e dei padri con una certa vergogna. Forse alcune di esse sentivano un vago orgoglio per il ruolo attribuito loro dalla storia, ma la grande maggioranza provava disagio e la sera, quando si presentavano con un panierino sotto al braccio, si nascondevano sotto ampi mantelli e cappucci. Non alzavano lo sguardo, non parlavano tra loro. Consegnavano velocemente i viveri ai parenti nel parlatorio e dopo qualche parola di commiato, ciascuna tornava mesta a casa per provvedere ai bisogni della famiglia.
Dopo poche settimane di detenzione, però, i mariti notarono con piacevole stupore che le pietanze diventavano più ricercate, più fantasiose. Non fu l'amore coniugale e nemmeno l'amor patrio a spingere le pie donne a faticare oltre misura per preparare piatti sempre più complessi, ma l'unico motore capace di stimolare le femmine di tutti i tempi: la competizione. Era come se fosse crollata una diga. Niente le poteva più fermare. Dal paniere uscivano le posate d'argento, i piatti di porcellana del servizio della festa, i tovaglioli di batista finemente ricamati. Non bastava più loro consegnare il paniere al coniuge, le signore assistevano alle cene, osservando non tanto l'amato affamato, ma i piatti portati dalle altre. 

Tratto da Confini incerti, di Agi Berta




Confini incerti è un libro bellissimo, di cui tempo fa aveva già parlato Andrea Rényi qui. Il brano che ho riportato mi ha fatta sorridere, ma non è un libro divertente; piuttosto è interessante, doloroso, appassionante e coinvolgente.

Se amate la storia, i racconti familiari o l'Ungheria - o se amate anche solo leggere, ve lo consiglio caldamente.

lunedì 4 novembre 2013

Nizza: Palais de la Jetée Promenade

Mi ha sempre affascinata, il Palais de la Jetée Promenade di Nizza. Come tante cose belle, quella costruzione meravigliosa, che allora fungeva da casinò, ristorante e padiglione musicale, non esiste più. Tuttavia di luogo in luogo, da ormai un paio d'anni, ho provato a raccoglierne le immagini. Alcune di recente le ho perse a causa di un trasferimento forzato da un pc all'altro, ma prima o poi conto di ritrovarle. Intanto, ecco quelle che mi sono rimaste...

Promenade des Anglais

Se ingrandite la foto, vedrete una sorta di molo bianco più avanti, nel mare. Era lì che sorgeva questo incredibile palazzo, ritratto nell'immagine.

Il progetto per la sua costruzione venne adottato nel 1875 e si ispirava al Crystal Palace di Hyde Park, a Londra. I lavori iniziarono solo anni dopo, una volta risolto il problema della sua collocazione, sul mare. Tuttavia i contrattempi non si limitarono a questo: un incendio nel 1883 otto giorni prima dell'inaugurazione, seguito dalla dissoluzione della Società che presiedeva i lavori nel 1885, fecero sì che il palazzo venisse completato solo intorno al 1891.

Palais de la Jetée Promenade

Modellino esposto al Musée Masséna

Quadro esposto al Musée Masséna

Ebbe comunque vita breve: il 20 dicembre 1942 il Palais chiuse definitivamente. Nel corso del 1943 venne svuotato lentamente di tutti i suoi elementi, mentre nel 1944 i tedeschi decisero di recuperare e riutilizzare tutte le parti metalliche che ne componevano la struttura. Oggi non rimane che questo, un bianco scheletro arrugginito a qualche metro da riva... 


Io ancora non riesco a farmene una ragione.


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