giovedì 1 ottobre 2015

Traduzione attiva e passiva: alcune riflessioni

Ieri ho postato su Facebook un indovinello: indovina la lingua madre di chi ha tradotto in EN il testo: "...and to repurchase a dignity".

Questo stralcio è tratto da una serie di documenti che sto traducendo dall'inglese all’italiano insieme a una collega. I casi di studio descritti si riferiscono a progetti attuati in diversi paesi del mondo e ognuno è stato probabilmente tradotto da persone appartenenti all'organizzazione coinvolta: quindi né traduttori, né tanto meno madrelingua inglesi.

Gli esempi che abbiamo riconosciuto essere stati tradotti da italiani ci hanno fatto sorridere perché il senso, almeno per noi, era piuttosto palese e seguiva la logica della nostra lingua (vedi “…and to repurchase a dignity”). Quelli che invece erano stati tradotti da persone di paesi diversi sono stati fonte di sofferenza.

Questo può servire a ricordare quanto sia importante per il cliente affidare la traduzione dei testi a persone capaci di padroneggiare perfettamente la lingua di arrivo, ovvero madrelingua o madrelingua tardivi.

Tuttavia oggi vorrei presentarvi un altro punto di vista: un collega con cui ho parlato di recente mi spiegava infatti che, lavorando in azienda, si trovava nella situazione di dover tradurre in attivo o di dover direttamente redigere dei testi in una lingua diversa dalla propria, nel suo caso l'inglese. Vista la diffusa mancanza di una conoscenza specifica del lavoro in sé, è una cosa che in questi ambiti viene richiesta spesso e la persona interessata non è certamente nella condizione di rifiutare. L'aspetto che su cui vorrei concentrarmi è però un altro: nel tradurre o creare ex novo un testo in inglese, il collega si trova di fronte a due particolari esigenze del cliente (in questo caso l'azienda che lo ha assunto), una esplicita e l'altra implicita. Vi spiego meglio
:

- implicitamente gli viene richiesto un risultato impeccabile da un punto di vista linguistico per rispondere a un primo scopo: la fruibilità del testo da parte di persone di lingua inglese; 
- esplicitamente invece la resa finale non deve essere troppo inglese per un italiano, perché in tal caso non risponderebbe a un secondo scopo mai rivelato apertamente: la  fruibilità del testo da parte di esperti del settore di lingua italiana con una conoscenza media dell'inglese.

A questo punto la domanda che il collega mi ha posto è: un traduttore madrelingua inglese sarebbe in grado di svolgere al meglio un lavoro di questo tipo?


Secondo me la questione si risolve su un piano diverso perché di fatto un traduttore professionista di madrelingua inglese che lavora con l'italiano, conoscendo bene non solo la lingua di partenza ma anche le eventuali differenze strutturali tra questa e la lingua di arrivo, saprebbe sicuramente rispondere a tale richiesta, se questa fosse esplicita. Il problema vero sta invece nella mancata percezione di questa esigenza da parte del cliente stesso, maturata invece dal collega in seguito ai riscontri ricevuti da gran parte dei reali fruitori dei testi (ovvero gli esperti del settore di lingua italiana di cui sopra). 

Dunque se è vero che per il traduttore è doveroso lavorare verso la propria lingua madre, assume per lui altrettanta importanza conoscere il proprio cliente e comprenderne le esigenze. Per quanto possibile, almeno.

In questo caso il collega, lavorando all'interno dell'azienda, si trova chiaramente in una posizione di vantaggio rispetto a un eventuale traduttore madrelingua inglese esterno. Tuttavia, se entrambi disponessero di tutte le informazioni, a chi converrebbe affidare il lavoro?

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