Nella foto compaiono due diverse attrazioni di Torino. Quali?
sabato 29 giugno 2013
Quiz - Torino
Scribacchiato da
Alice in Translation
alle
12:39
16 commenti:
Ubicazione:
Piazza Carignano, 10123 Torino, Italia
martedì 25 giugno 2013
Era una notte buia e tempestosa
Vieni con noi a vedere i fuochi di San Giovanni?
I fuochi di San Giovanni? E dove?
Come "dove"! In Piazza Vittorio, no?
Come "dove"! In Piazza Vittorio, no?
E come mai fanno i fuochi?
Perché è la festa del patrono. Ma scusa, tu non sei di Torino?
È che non mi sono mai interessata molto di patroni.
Perché è la festa del patrono. Ma scusa, tu non sei di Torino?
È che non mi sono mai interessata molto di patroni.
Era una notte buia e tempestosa.
Tuttavia solo in lontananza.
E a tratti.
Quando il cielo ci ricordava, con un boato e un lampo, di quella tempesta lontana.
Torino - Ponte Vittorio Emanuele I |
Di gran lunga meglio dei fuochi. Anche se quest'anno, a dirla tutta, me li sono persi.
Scribacchiato da
Alice in Translation
alle
20:33
8 commenti:
Ubicazione:
Ponte Vittorio Emanuele I, Torino, Italia
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Torino
sabato 22 giugno 2013
Parco Dora steampunk
Sì, sono di nuovo andata al Parco Dora, anche se oggi non ho corso ma passeggiato beatamente, tra bambini che inseguivano palloni o cercavano il giusto equilibrio su uno skate, adulti che ballavano al ritmo di un vecchio stereo cadenzando i passi in spagnolo e ragazzini che giocavano a scelta tra basket, calcio e pallavolo, mentre altri imparavano ad andare sui pattini o sfrecciavano in bici. E ho scoperto angoli interessanti.
Ovviamente, complici il sole e l'atmosfera gioiosa, alla fine ci siamo messe a giocare anche noi. Ogni tanto ci vuole.
Scribacchiato da
Alice in Translation
alle
22:29
4 commenti:
Ubicazione:
Parco Dora - Area Michelin, 10144, Italia
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Torino
Un anno!
Tra una cosa e l'altra, mi sono resa conto che è ormai trascorso un anno da quando ho aperto questo blog.
Il primo in realtà l'ho aperto nel 2001 su Splinder. Per undici anni ho scritto di tutto e per undici anni, fino alla fine del gennaio dell'anno scorso, ho seguito i miei blog preferiti quasi quotidianamente. Erano una manciata ma per me, che per alcune cose sono una persona estremamente metodica, erano come libri che si intessevano giorno per giorno senza avere una fine. Anche quando mi assentavo per mesi, al ritorno pregustavo la lettura di tutto quello che mi ero persa nel frattempo. Poi Splinder ha chiuso i battenti e io non me la sentivo più di aprirne un altro.
Se non che... a giugno, dopo mesi di lavoro frenetico con orari folli - dalle 8 alle 23, se non più tardi, e nessuna distinzione tra giorno feriale e festivo - ho sentito il bisogno di ricordarmi che esisteva altro oltre alla traduzione. Traducevo, parlavo di traduzione, leggevo di traduzione. Avevo bisogno di rallentare, di lavorare meno e, soprattutto, di avere prova che esistesse altro. Sembrerà strano, ma non ricordavo più cosa volesse dire staccare.
Ero finita nella trappola del lavoro autogestito: non dici mai di no per paura che l'agenzia o il cliente non ti contatti più, che non ci sia più lavoro e via di questo passo. Oltretutto ero talmente stanca che la traduzione, che per me prima di essere un lavoro è una passione, stava iniziando a pesarmi.
Qualcosadaltro è nato così - certo è facilmente intuibile, visto il titolo. In un anno ha sapientemente servito il suo scopo originario, oltre ad avermi restituito una vecchia abitudine che, onestamente, mi mancava.
Poi il 16 giugno, che fino all'anno scorso era per me una data terribilmente anonima, ha assunto oggi un significato nuovo, perché mi ha regalato il mio meraviglioso e splendidissimo secondo nipote. L'anno scorso iniziai con un post intitolato "Una bella giornata". Quest'anno lo stesso giorno ha superato qualsiasi mia aspettativa. Chissà il prossimo...!
Basilicata - tardo pomeriggio |
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mercoledì 19 giugno 2013
In riva al mare
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venerdì 14 giugno 2013
Attraverso l'Italia ad alta velocità in un giorno di giugno
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sabato 8 giugno 2013
Quello che non mi uccide mi rende più forte
"Quello che non mi uccide mi rende più forte", sosteneva Nietzsche. Ma lui è mai andato a correre?
Io ho iniziato ad andare a correre questa settimana. Odio la palestra, la bici devo ancora farla sistemare, andare a nuoto senza bici è noioso e quando cammino non riesco mai a stancarmi.
Correre, invece, mi uccide.
Il primo giorno dopo dieci minuti ho pensato: "Beh, stai andando bene, hai ancora un sacco di energie!".
Dopo venti: "Comincio a sentirmi male..."
Al trentesimo minuto ero stravolta e ho bevuto mezzo litro d'acqua.
La seconda volta al quindicesimo minuto ho pensato che no, non dovevo farlo per forza. Poi i polpacci cominciavano a farmi male e qualsiasi canzone mi irritava. Stavo già valutando di fermarmi quando ho ricevuto la telefonata di un'amica (da quando ho scoperto che le cuffiette hanno anche il microfono è una pacchia). Ho risposto e, mentre lei parlava, mi sono distratta a tal punto da finire magicamente l'allenamento senza accorgermene. No, non ero manco stanca. Anzi avevo quasi l'impressione di avere in un certo qual modo barato. Insomma, se dopo aver corso non sei mezzo morto, allora non hai fatto il tuo dovere. O no?
Oggi ho fatto il mio dovere. Su Torino c'erano quelle nuvole umide e pesanti che promettono un'improvvisa e scrosciante pioggia lampo, ma non è scesa neanche mezza goccia. Alla mancanza di respiro per partito preso si aggiungeva la brutta sensazione dell'afa appiccicosa.
Poi le altre volte sono stata piuttosto schiva: mi piaceva il mio parchetto vuoto e solitario, anche perché - soprattutto all'inizio - farsi superare da persone che camminano mentre tu tendenzialmente e teoricamente corri non è proprio un toccasana per l'autostima. Quindi eravamo io, il sentiero vuoto e qualche persona a passeggio col proprio cane.
Oggi no. Con Happy Go Lucky Me in sottofondo ho superato il ponte che divide il mio dimenticato angolino verde con quello più popolato, anche perché le reti che solitamente dividono i due spazi erano state scostate l'una dall'altra. Sono finita in mezzo ai rumori del mondo, ai bambini che giocavano a pallone, ai passeggini e ai cani e agli altri corridori, quelli veri, quelli che in mezz'ora percorrono più di 4 km appena. Ero tutta contenta.
Foto della zona più popolata del parco
Poi, dopo questo bel tuffo dall'altra parte della barricata, dopo questa bella prova di temerarietà e coraggio, ho scoperto che qualcuno aveva di nuovo chiuso il passaggio e per tornare mi toccava fare il giro largo sul lato della strada e delle macchine.
Ecco. Dopo 33 minuti di corsa, con la testa che girava e la pressione che scendeva, mi sono meritatamente accartocciata su una panchina e tutto quel che sono riuscita a pensare è che era un peccato che non mi fossi portata dietro un plaid. Avevo sonno.
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giovedì 6 giugno 2013
Nota bene, ovvero ciò di cui avevo smesso di parlare
Il corso che ho seguito sugli aborigeni canadesi (di cui avevo scritto qualcosa) è ormai finito da un pezzo, ma non ho smesso di pensarci. Poi oggi, un po' perché con un'amica abbiamo parlato di Canada, un po' perché è uscito un discorso sulle forme di istruzione e sull'istituzione Chiesa, ho cominciato a ripensarci con più prepotenza. Questi sono solo appunti, in realtà, ma fa niente: oggi il mio blog sarà il mio personalissimo blocco note (le altre volte, invece...).
Dal 1876 al 1996 (sì, millenovecentonovantasei) i bambini aborigeni canadesi sono stati portati via dalle loro famiglie e inseriti in scuole apposite gestite dalla chiesa cattolica o anglicana.
Circa il 50% di loro in quegli anni moriva per percosse, inedia, malattie; la maggior parte dei sopravvissuti è invece finita in prigione o nel tunnel della droga e della dipendenza a causa dei profondi traumi subiti. Altri ancora (circa il 2-5%), forse i più "fortunati", hanno trovato la forza di crearsi una famiglia, di andare avanti e lottare perché si risolvano gli innumerevoli problemi e le forti disuguaglianze che ancora oggi sussistono nella società canadese.
Queste sono alcune delle loro storie.
Queste, invece, sono le formali scuse presentate nel 2008 da Stephen Harper, primo ministro canadese, a nome del Governo - discorso un po' controverso. Qui se ne trova la trascrizione completa, mentre qui se ne fa un'analisi dettagliata.
Queste, invece, sono le formali scuse presentate nel 2008 da Stephen Harper, primo ministro canadese, a nome del Governo - discorso un po' controverso. Qui se ne trova la trascrizione completa, mentre qui se ne fa un'analisi dettagliata.
Ciò che mi ha stupito è stato il collegamento di due dati che riguardano proprio gli ultimi anni, ovvero:
- l'aumento in percentuale di aborigeni appartenenti alle nuove generazioni (rispetto al numero dei "canadesi");
- l'avvio di nuove campagne di contrattazione con gli aborigeni per l'utilizzo dei loro territori (le cosiddette riserve), alcuni dei quali particolarmente importanti per la costruzione di nuovi condotti per il reperimento e il trasporto di materie prime.
Ecco il motivo per cui mi pare che quelle scuse, nel 2008, siano capitate un po' troppo a fagiolo. I problemi comunque non riguardano solo l'istruzione, le scuole, il mancato rispetto di vecchi accordi e tanto altro ancora, ma una concezione del mondo e del rapporto con esso che fa della questione un caso culturale di particolare rilevanza. I rapporti di forza che cambiano e mutano sono molto interessanti, soprattutto considerando la nascita di spontanei movimenti di protesta, come Idle No More, ma anche di programmi volti a sensibilizzare il pubblico canadese puntando sulla comprensione del punto di vista dell'altro. Un esempio è Eight Fire, un canale che raccoglie interviste, servizi e tanto materiale, il tutto incentrato sull'esperienza umana, il confronto e il dialogo tra le parti, la possibile crescita di un'intesa e un incontro tra le due culture, che ancora devono imparare a convivere e rispettarsi.
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martedì 4 giugno 2013
Scatto
Il treno percorreva la sua strada e io la mia, persa tra i pensieri. D'un tratto, dopo una galleria, il cielo è cambiato e ha attirato la mia attenzione. Mi sono ritrovata dentro il paesaggio, come se nella composizione dei colori, nella temperatura, nell'aria ora calda che prometteva pioggia, ritrovassi parte di me - e il vetro del finestrino non fosse altro che una pellicola sottile ed elastica volta a foderare i contorni delle cose.
Questa fotografia è uno scatto casuale, eppure mi piace fin nel più minuto dettaglio.
Questa fotografia è uno scatto casuale, per questo mi piace fin nel più minuto dettaglio.
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domenica 2 giugno 2013
Cosa sta succedendo a Istanbul?
Ho letto questo articolo oggi. Visto che ho molti amici che non parlano l'inglese, ho pensato di tradurlo (in tutta fretta, devo ammettere) perché potessero leggerlo anche loro. Poi però ho pensato, perché non condividerlo?
Inizia qui.
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Agli amici che vivono al di fuori della Turchia.
Vi scrivo per informarvi di quel che sta succedendo a
Istanbul da cinque giorni a questa parte. Sento di doverlo scrivere
personalmente perché per la maggior parte i mezzi di informazione sono stati bloccati dal governo e il passaparola e Internet sono le uniche due possibilità
che ci sono rimaste per spiegare le nostre ragioni e chiedere aiuto e sostegno.
Quattro giorni fa un gruppo di persone, non appartenenti né a organizzazioni, né a ideologie specifiche, si sono riunite al parco Gezi di
Istanbul. Tra loro c’erano molti miei amici e studenti. La ragione era
semplice: protestare e impedire l’imminente demolizione del parco per lasciar
posto all’ennesimo centro commerciale proprio nel centro della città. Ve ne sono già diversi a Istanbul, almeno uno per quartiere! L’abbattimento
degli alberi sarebbe dovuto iniziare giovedì mattina presto. La gente si è
recata nel parco con coperte, libri e i propri bambini; ha piantato le tende e
trascorso la notte sotto agli alberi. La mattina, quando i bulldozer hanno iniziato a sradicare quegli alberi secolari, le persone vi si sono parate davanti per
fermarli.
Non hanno fatto altro se non rimanere lì in piedi.
Nessun giornale o canale televisivo era lì per documentare
la protesta. È stata del tutto oscurata dai mezzi di informazione.
La polizia è pero arrivata con cannoni ad acqua e spray
urticante. Ha cacciato la gente dal parco.
La sera il numero di protestanti si è moltiplicato, così
come il numero di agenti di polizia attorno al parco. Nel frattempo il governo
locale cittadino ha interrotto tutte le strade che conducono alla piazza di Taksem,
dove si trova il parco Gezi. La metropolitana è stata chiusa, cancellate le
corse in battello, bloccate le strade.
E nonostante questo sempre più persone hanno raggiunto il
centro città a piedi.
Sono arrivate da cittadine attorno a Istanbul. Tutte con una formazione diversa, una diversa ideologia, una diversa religione. Si sono
tutte riunite per impedire che venga demolito qualcosa più grande anche del
parco: il diritto di vivere come onesti cittadini di questo paese.
Si sono riunite e hanno marciato. La polizia le ha cacciate con spray urticante e gas lacrimogeno, guidando le camionette contro chi, in risposta, lanciava loro del cibo. Due giovani sono stati investiti e
uccisi. Un’altra ragazza, una mia amica, è stata colpita alla testa da uno dei
candelotti di gas lacrimogeno. La polizia li lanciava direttamente contro la
folla. Ora, dopo un intervento di tre ore, si trova ancora nel reparto di
Terapia intensiva e le sue condizioni sono gravi. Ancora non sappiamo se ce la
farà. Questo blog lo dedico a
lei.
Queste persone sono miei amici. Sono i miei studenti, i miei
parenti. Non hanno nessun “secondo fine”, come lo Stato ama insinuare. Il loro fine è là fuori. È
molto chiaro. Il governo ha venduto l’intero Paese alle società per azioni per
la costruzione di centri commerciali, condomini di lusso, autostrade, dighe e
centrali nucleari. Il governo sta cercando (e creando, ove necessario) una
qualsiasi scusa per attaccare la Siria contro il volere della sua gente.
Oltre a tutto questo, di recente il controllo del governo
sulla sfera personale delle persone è diventato insostenibile. Lo Stato, con il suo
programma conservatore, ha approvato molte leggi e disposizioni che riguardano
l’aborto, il parto cesareo, la vendita e il consumo di sostanze alcoliche e
persino il colore di lucidalabbra che usano le assistenti di volo.
Le persone che stanno marciando verso il centro di Istanbul rivendicano
il proprio diritto di vivere liberamente e di ottenere giustizia, tutela e
rispetto da parte dello Stato. Chiedono di essere interpellate per i processi
decisionali che riguardano la città in cui vivono.
Ciò che in risposta hanno ricevuto è un uso eccessivo della
forza e ingenti quantità di gas lacrimogeno sparato dritto in faccia. Tre
persone hanno perso la vista.
Eppure stanno
ancora marciando. In centinaia di migliaia si uniscono a loro. Un altro
paio di migliaia ha attraversato a piedi il ponte sul Bosforo per sostenere
le persone in piazza Taksim.
Nessun giornale o canale televisivo era lì a documentare gli
eventi. Erano occupati a mandare in onda le notizie su Miss Turchia e “il gatto
più strano del mondo”.
La polizia ha continuato a inseguire le persone e a
spruzzare contro di loro lo spray urticante, usandone così tanto da avvelenare
cani e gatti randagi, che ne sono morti.
Scuole, ospedali e persino alberghi a cinque stelle vicini a
piazza Taksim hanno accolto i feriti. I dottori hanno riempito le aule e le
stanze d’albergo per fornire una prima assistenza. Alcuni poliziotti si sono
rifiutati di sparare gas lacrimogeno contro persone innocenti e si sono
licenziati. Attorno alla piazza sono stati posizionati dei disturbatori di
frequenza per ostacolare le connessioni Internet e le reti 3G sono state
bloccate. I residenti e i negozi della zona hanno messo a disposizione delle
persone per strada la loro connessione wi-fi. I ristoranti hanno offerto cibo e acqua gratis.
Altre persone, ad Ankara e a Izmir, si sono riunite in strada per sostenere la resistenza a Istanbul.
I principali mezzi di informazione hanno continuato a
trasmettere Miss Turchia e “il gatto più strano del mondo”.
***
Scrivo questa lettera perché voi sappiate
cosa sta succedendo a Istanbul. I mezzi di informazione non vi diranno nulla a
riguardo. Almeno, non nel mio Paese. Vi prego di postare quanti più articoli
potete e spargere la voce.
Ieri sera, mentre pubblicavo su Facebook articoli che
spiegavano i fatti di Istanbul, una persona mi ha posto questa domanda:
“Cosa speri di ottenere lamentandoti del tuo Paese con delle
persone straniere?”
Questo blog è la mia risposta.
“Lamentandomi” del mio Paese, se così si può dire, spero di
ottenere:
- libertà di espressione e di parola,
- rispetto dei diritti umani,
- controllo delle decisioni che prendo sul mio corpo,
- il diritto di adunarsi legalmente in ogni parte della città senza
essere considerati dei terroristi.
Soprattutto, parlandone a voi, amici che vivete in altre
parti del mondo, spero di consapevolizzarvi e di ottenere il vostro sostegno e
aiuto!
Vi prego di spargere la voce e di condividere questo blog.
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