giovedì 8 ottobre 2015

Il paradiso degli orchi, di Daniel Pennac

Lo scrivo con titubanza perché è un’ammissione in piena regola: non avevo mai letto Pennac. Per motivi stupidi, ammetto anche questo. Anni fa qualcuno, parlandomene, lo aveva definito il Benni francese, e a me, che adoro Benni, non era andata giù.  Quest’anno però Il paradiso degli orchi si è insinuato in casa per mano di un amico, iniziando dapprima a farsi strada nel mio immaginario con quei tre orchi e il cane in copertina e catturandomi infine quando, qualche giorno fa, avevo bisogno di una lettura da portare con me. Così, mentre la folla dell’autobus mi carpiva in quella calca di corpi dell’ora di punta, Pennac lo faceva col suo velo da sposa. Ve lo ricordate? Il romanzo inizia così: “La voce femminile si diffonde dall’altoparlante, leggera e piena di promesse come un velo da sposa”. Una mancanza di peso così esatta a cui è difficile opporsi (un grazie doveroso alla traduttrice, Yasmina Melaouah), una leggerezza del linguaggio che mi ricordava in qualche modo il Calvino delle lezioni americane, perché il mondo di Pennac non aveva affatto l’impressione d’essere di pietra.
E di fatto Pennac non diventa di pietra mai: ...
Continua qui.

2 commenti:

  1. Malaussène per me resta uno dei personaggi che più ho adorato in assoluto

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    1. Io lo conosco ancora poco, ma è sulla buona strada per essere anche tra i miei preferiti :)

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