sabato 1 dicembre 2012

L'orpello

Qualche giorno fa ho partecipato a questo concorso qui
Il tema era "La festa" e bisognava "rivestire" l'eroe scelto ispirandosi a uno dei passaggi proposti. Io ho scelto questo:


Emma si comperò un inginocchiatoi gotico; spese in un mese quattordici franchi in limoni per pulirsi le unghie; scrisse a Rouen per avere un vestito in casimiro azzurro; scelse da Lheureux la più bella sciarpa ch'egli aveva; se l'annodava alla vita, sopra la vestaglia, e, così vestita, rimaneva distesa su un divano con un libro in mano e le persiane chiuse.

Spesso cambiava di pettinatura; s'acconciava ora alla cinese, ora con riccioli sciolti, ora con le trecce; si fece una riga da un lato e avvolse i capelli al disotto, come un uomo.

da Madame Bovary, di Gustave Flaubert. Traduzione di Giuseppe Achille.    

E così ho proseguito...


Erano come prove generali ad un grande spettacolo di cui lei era l'unica e impareggiabile protagonista e, come tale, sentiva l'obbligo morale di tendere alla perfezione, così da poter offrire ai propri spettatori l'opportunità di sentirsi di nuovo mortali nella loro mediocrità. Occasione del suo debutto ufficiale in queste vesti sarebbe stata la festa che si sarebbe tenuta di lì ad un mese presso la casa del sindaco, uomo abbiente per professione ma amante dell'opulenza per inclinazione. All'evento avrebbero partecipato tutti quelli che godevano di una qualche importanza a livello sociale, per lo meno a quanto sembrava suggerire l'invito, scritto con grafia impeccabile e ricercata eleganza, e l'insistenza con la quale Françoise, la sua amica, continuava ad affermare che "sì, deve esserci stato sicuramente un qualche disguido all'ufficio postale, se a me l'invito non è ancora arrivato", proseguendo poi per filo e per segno ad elencare, quasi in ordine cronologico, tutte le persone nella sua cerchia che già potevano iniziare con diletto a prepararsi all'occasione.

Rigirando tra le dita quel passepartout tanto prezioso, Emma seguitava a far parlare Françoise con studiata indifferenza, quella che si riserva alla musica d’anticamera. La sciarpa turchese potrebbe andare? Magari sopra al vestito nero di quel sarto bravissimo, che mi calza come un guanto. Ad un osservatore attento non sarebbero sfuggiti tutti quei colori e quei capi che sembravano sfilare di fronte ai suoi occhi assenti, ma Françoise non era né osservatrice, né men che meno attenta. 

"Dunque, ho concluso il discorso intimando alla cugina di Jean-David che se l'indomani non avesse chiesto a sua zia una risposta, avrebbe potuto benissimo dimenticarsi i tè del mercoledì. Velatamente, s'intende - una signora non dovrebbe mai dar prova di una simile malagrazia. Ne convieni?", seguitava Françoise, mentre Emma, annuendo, passava mentalmente in rassegna i preziosi. 
Indosserò quelli a goccia, eleganti ma seducenti, che coi capelli raccolti in uno chignon e il ciondolo che mi ha regalato Maman si abbinano come uno stelo alla foglia.

Continuò così per un’altra ora, e per un giorno ancora, poi due, fino a sommarne altri tre ed arrivare ad una settimana, un mese e così via. Il giorno della festa arrivò in un’umida sera d’agosto ed Emma sembrava davvero risplendere di luce propria. Morbidamente avvolta in un vestito nero dalle maniche ampie e la scollatura non troppo generosa, con orecchini a goccia e, una volta toltasi la leggera sciarpa turchese, lo sterno nudo (Niente ciondolo:  la pelle nuda si presta meglio ad accogliere gli sguardi), fece il suo ingresso nell’ampio salone. Si voltarono tutti, ma altrettanto in fretta ripresero le proprie conversazioni. Perché Emma aveva dimenticato l’unico orpello di cui, in circostanze come questa, una donna che volesse far rispettare il proprio buon nome e apparir perbene non poteva fare a meno: il marito.

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