martedì 3 dicembre 2013

Quanto vale il lavoro di un traduttore? Read on... and keep calm.

Ho un'amica che da un paio di mesi lavora in una grande organizzazione di rilievo internazionale. Lo fa come volontaria, otto ore al giorno, e per il privilegio ha dovuto anche pagare una sorta di quota associativa. Lo fa perché non ha trovato null'altro e, per non rimanere con le mani in mano, ha scelto di fare un altro po' di esperienza pratica - perché la laurea magistrale, le altre esperienze lavorative retribuite o come volontaria non bastano mai o sono troppo ("un profilo troppo alto, mi spiace").

Già sapevo che le cose non si stavano rivelando proprio idilliache, perché ciò che ha trovato non rispecchia nessuno dei principi stessi che questa organizzazione, come tante altre, si presume voglia difendere e promuovere, ma oggi mi è arrivato questo messaggio, che mi ha fatto fremere per un numero imprecisato di ragioni.

"Oggi sto traducendo un documento dall'italiano al francese. Sono appena all'inizio. Il mio capo mi ha chiesto dopo 10 minuti se avevo finito. Sono 5 pagine :-)".

Tra queste ragioni c'è il fatto che una delle prime cose che si imparano nel campo della traduzione è che non si traduce mai in una lingua che non è la propria lingua madre (anche se un discorso a parte andrebbe fatto per i bilingui tardivi). La mia amica conosce il francese, ma conoscere una lingua non significa necessariamente saper e poter tradurre in quella lingua - e neppure in tutti gli ambiti della stessa (per questo, anche i traduttori si specializzano). 

Un'altra di queste ragioni è l'idea che un'organizzazione simile, di rilievo internazionale appunto, affidi un lavoro così delicato o comunque specialistico a una persona che non è del mestiere. Professionalità? Rispetto per la figura del traduttore? Vero, la mia amica mi aveva raccontato che, quando l'avevano presa come volontaria (non basta proporsi, c'è un processo selettivo molto duro), le avevano spiegato che purtroppo non c'erano fondi e che se nel frattempo avesse trovato un altro lavoro, l'avrebbero capito benissimo (qui si ringrazia per la profondissima comprensione). Se non ci sono fondi, è chiaro che non è possibile sobbarcarsi i costi di una traduzione svolta da un professionista (accade lo stesso quando si rompe una tubatura o c'è da rifare l'impianto elettrico?).

Il problema è che tra i traduttori girano delle voci, dei consigli, delle raccomandazioni - chiamateli come vi pare - che dicono pressappoco che non bisogna svendere la propria professione, non bisogna accettare tariffe troppo basse, non bisogna... non bisogna... Perché il mercato è rovinato da questo: dalla concorrenza predatoria dei traduttori neolaureati e inesperti o delle agenzie di paesi economicamente svantaggiati, dai nuovi sistemi che cominciano a farsi strada (ad esempio: revisione a prezzi stracciati di un testo precedentemente tradotto da un software automatico), dal sempre più scarso riconoscimento della figura professionale del traduttore, e via dicendo. 

Io lo so, non è che è la prima volta che mi ci imbatto, in queste cose. Tuttavia bisogna aggiungere dell'altro, cioè che il mercato è anche rovinato da chi se ne approfitta e affida un lavoro sensibile a una persona che non ha alcuna preparazione in tal senso e che accetta, bene o male, perché sente di non avere altre possibilità. 


La mia amica un tempo mi diceva che comunque per lei si trattava di esperienza, di cose nuove che imparava, di know-how da mettere in saccoccia, anche se alcune mansioni esulavano del tutto dai suoi settori di specializzazione (che per la cronaca sono diritti umani e apprendimento informale).


Ora pare abbia cambiato idea anche lei, perché è chiaro che bisogna imparare a distinguere tra l'opportunità di fare esperienza e l'opportunismo di chi te la fa fare. 


10 commenti:

  1. Risposte
    1. Secondo me forzatamente sì. Ci hanno cresciuti a pane e diritti umani e ora ci stanno dicendo che erano tutte favole della buonanotte. A un certo punto i bambini crescono :)

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  2. Ma facciamo che glielo traduco io il testo alla tua amica... Ci metto anche meno di 10 minuti a scrivere ciò che penso ;-P
    Il discorso sul lavoro non pagato ma che fa fare esperienza è una cosa che riguarda anche il mio settore e proprio poco tempo fa leggevo dei commenti ad un video di Gipi che in pratica diceva di non puntare sempre e subito ai soldi, ma di crescere e migliorare per passione. Purtroppo c'è molto livore nel settore artistico, perché sempre più spesso i professionisti sono visti come "persone che disegnano per hobby" per tanto è difficile avere un'adeguato compenso. Ecco che quando ci si sente dire "non pensate ai soldi, fate esperienza" la reazione è spesso dura, quasi irragionevole, mentre invece non si legge il significato più intimo della frase, che è: siate umili e cercate di migliorarvi sempre. Si sta perdendo l'umiltà, perché si è costretti a lottare con forza per avere un minimo di riconoscimento. Ecco: ci ho messo tanto, ma alla fine penso di essermi spiegata bene. :-)

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    1. Su questo hai ragione e mi trovi particolarmente a favore, ma dipende che cosa si intende. Fare stage non retribuiti o proporsi come volontari va bene, mi ci sono trovata io per prima, ma non quando vengono proposte mansioni che non riguardano affatto l'esperienza che si è richiesto di fare! Se per esempio domani uno studio di grafica ti proponesse uno stage e tu accettassi, ma visto che sei italiana poi ti chiedessero di tradurre la versione in italiano del loro sito Internet, come reagiresti? Secondo me non si tratta più di umiltà, ma di sfruttamento!

      p.s. se ho compreso male il tuo messaggio, dimmelo!

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  3. Si... Hai capito male e io sono andata un po' fuori tema :-)
    Riassumo: fare esperienza, anche non pagata, può essere utile e non un demone da scansare a prescindere, soprattutto agli inizi.
    Accettare qualsiasi mansione e non avere un compenso proporzionale allo sforzo fatto ( che siano mansioni adeguate o totalmente fuori dal contesto per cui si è stati assunti o si è scelto di lavorare) non è giusto. Purtroppo è difficile saper valutare agli inizi se ne vale la pena o no... Per questo anche i datori di lavoro dovrebbero essere "sensibilizzati" riguardo questi argomenti ( "sensibilizzati"... È stranamente ironico e triste allo stesso tempo... Facciamo finta che non ci arrivino da soli e debbano essere educati)

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    1. Ecco, ora ti ho capita appieno e sono d'accordo su tutto, anche sulla parentesi finale ;)

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  4. Io a lavoro sono utilizzata come revisore delle traduzioni dei traduttori ufficiali dall'inglese all'italiano per il sito internet e i prodotti. Posso dire che i traduttori che usiamo fanno piangere?l'argomento è un prodotto tecnico,sarà per quello. E sará per quello che come dici bisogna specializzarsi!

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    1. Sì, le traduzioni tecniche sono una bella (bellissima!) sfida, ma devono piacere, altrimenti non uscirà mai un bel lavoro :)
      Spero che questi traduttori siano almeno madrelingua. Da come ne parli...

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  5. Dunque, io non sono traduttrice ma accanita lettrice sì. E posso dire che ho quasi smesso di leggere libri (mal)tradotti: o leggo gli autori italiani, o leggo i testi originali (in inglese, quando sono in grado).
    Tradurre è ben di più che "trasporre in altra lingua". Il senso estetico dell'autore va conservato (parlando di narrativa, ovviamente) e questo lavoro DEVE essere ben retribuito, perchè è una parte importantissima per la fruizione del libro, almeno quanto il doppiaggio lo è per un film straniero.
    Detto questo, ritengo anch'io che sia molto importante l'umiltà e la disponibilità a "fare gavetta" ma penso anche che l'uso indiscriminato di stagisti a titolo gratuito come metodo perenne di lavoro (quindi assunzione di un nuovo stagista ogni 6 mesi) sia svilente sia per lo stagista che per il datore di lavoro.
    Come sempre in Italia, ahimè, il merito e l'impegno non vengono premiati.
    Un'amica che vive e lavora a Londra, assunta a tempo indeterminato, sta prendendo una laurea e il datore di lavoro le sta pagando le tasse universitarie (a fronte del suo impegno e dei suoi buoni risultati) convinto dell'importanza della sua preparazione.
    Questa è una cosa che qui raramente si fa, a torto: investire sulle persone che lo meritano.
    Lucia

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    1. Cara LaLu, benvenuta e piacere. Mi trovi d'accordo con te su ogni singola parola: da noi stage e tirocini sono visti troppo spesso come escamotage per non retribuire una persona che svolge regolarmente un lavoro. L'esempio della tua amica è invece splendido e son contenta di leggerlo, perché significa che almeno altrove le cose non sono così. Impareremo mai anche noi?

      p.s. Sono contenta che, come lettrice, tu riconosca l'importanza di un traduttore. Personalmente non mi occupo di traduzione editoriale, ma a nome dei miei colleghi... *grazie* :)

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