Se una pennellata è espressione
di un linguaggio, quali sono i codici
per comprendere il messaggio? Quanto può trasmettere una persona in ciò che
dipinge? Quand’io lo faccio, vengo trascinata via talmente in fretta dai colori
da decidere, in breve, di abbandonare i soliti strumenti a favore delle dita.
In entrambi i casi non raggiungo i risultati che vorrei – spesso soffrendo del
distacco tra l’immagine pensata e quella riprodotta, ma cionondimeno vivo l’eterno
fallimento con più soddisfazione. Lo faccio poi di rado, perché tanto l’attività
mi assorbe e richiede delle mie emozioni da non aver spesso voglia di sentir tutto
riaffiorare così prepotentemente verso l’esterno.
Sabato scorso sono andata con un’amica presso la sede dell’Archivio
di Stato di Piazzetta Mollino per la mostra intitolata “Dalle avanguardie alla Perestrojka”,
che raccoglieva la collezione della Pinacoteca Civica Manege di San
Pietroburgo: cento opere tra dipinti ad olio, acquerelli e disegni per la prima
volta in visita nel nostro paese. Ingresso gratuito (e per questo sponsorizzata
pochissimo, già terminata e aperta solo in orari “da ufficio”, perciò assurdi: in
settimana e il sabato mattina fino alle 13).
Dopo un paio di autoritratti, ho cominciato a riflettere su
quale possa essere la spinta emotiva alla base della scelta di dipingersi, per
poi mostrarsi a un pubblico. O al coraggio che ha colui che si mette di fronte
a se stesso e vuol riprodurre la propria immagine, nel bene o nel male. Ci
saranno sempre dei difetti che vogliamo celare, pregi da esaltare, imperfezioni
da limare, o comunque un’idea del nostro io a cui siamo legati che vorrà
dominare sulla realtà nuda e cruda. E si ritorna all’eterno quesito di come
poter giudicare cosa è oggettivo, se ogni valutazione viene necessariamente
filtrata da una soggettività innata.
Insomma, l’artista è colui che sa mostrare parti di sé così
in sintonia con il sentire celato di molti da poter condurre l’osservatore a
una più profonda conoscenza di se stesso, svelando il percorso per far
riaffiorare al conscio emozioni che, pur presenti, non avrebbero altrimenti avuto
un nome. Secondo me, almeno. E allora guardavo quegli occhi, quelle bocche, pensavo, e mi impelagavo in supposizioni e ragionamenti sempre più contorti, rammaricandomi di non avere una conoscenza tale dell’arte da poterne comprendere
il linguaggio. Poi però, dietro all’ultimo pannello, in fondo, ecco che mi si
presenta questa meraviglia.
Autoritratto, di Valery Konevin Olio su tela, 75 x 95, 1991 |
Ed è stato un po’ come sentire parlare una persona in una lingua sconosciuta, ma dai suoni talmente noti da risultare familiare, e amica. Profondamente aliena.
Nei prossimi giorni pubblicherò le foto di qualche altra opera esposta. Una mostra notevole.
Che quadro bellissimo e sconosciuto (almeno a me)! A volte le piccole mostre meno pubblicizzate sono quelle che contengono le vere chicche.
RispondiEliminaA me comunque la storia della poca pubblicità non piace per niente :)
EliminaPiaciuto molto anche a me!
RispondiEliminaBellissimo, vero? Ha un non so che di meraviglioso.
EliminaC'è qualcosa in questo quadro che mi ricorda Il Grido, possibile?
EliminaTutto è possibile! Riusciresti a spiegare che cosa? :)
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaSì, credo che si tratti dell'uso dei colori, in particolare di giallo e rosso, le stesse tinte che animano il cielo del quadro di Munch.
EliminaOh, hai ragione! Io avrei optato invece per la forma del viso :D
EliminaVero, anche la forma del viso!
EliminaQuel volto splende di una luce propria!
RispondiEliminaIo negli autoritratti mi faccio più graziosa, ma ho sempre pensato ( con molta modestia) perché non posso essere esteriormente come uno dei personaggi che disegno, dato che interiormente già sento molte affinità ;-D
Quando ci siamo incontrate la prima volta, invece, ti ho trovata esattamente identica al disegno che mi avevi mostrato :)
Eliminanon parla una lingua aliena: comunica chiaramente qualcosa di caldo, passionale anche se "stranito"
RispondiEliminaPer me è anche qualcosa di molto intimo, se così si può dire. Un'emozione in colori, insomma :)
EliminaAlla fine di dicembre una mia amica mi ha segnalato un corso di fotografia che io ho definito made in hell in quanto consisteva nel farsi un autoritratto a settimana per un intero anno. Ma ti immagini che tortura e che ansia?
RispondiEliminaValery? Not my cup of tea, but here's to finding more hidden gems!
ahahahha per te direi proprio di sì! Ora questi progetti di "autoscatto" imperversano molto, soprattutto poi con le ricostruzioni video che vengono caricate su YouTube.
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