venerdì 22 marzo 2013

Obbedienza e potere

Philip Zimbardo
Scrivere questo post è un po' faticoso, nel senso che su queste cose ci sto ancora rimuginando parecchio.

Insomma, nel 1971 Philip Zimbardo, un professore di psicologia, ha condotto un esperimento: ha progettato una finta prigione nell'interrato dello stesso edificio della facoltà di psicologia di Stanford, ha assegnato casualmente a 24 persone di sesso maschile il ruolo di prigioniero o guardia e poi ha osservato lo sviluppo delle loro interrelazioni. Ha dovuto porre fine all'esperimento dopo appena 6 giorni, perché le cose stavano iniziando a sfuggirgli di mano. L'esperimento ha ispirato diverse opere (le trovate elencate qui, su Wikipedia). Io anni fa avevo visto The Experiment, il film tedesco girato da Hirschbiegel, e ne ero rimasta molto scossa.

Tutto questo mi è tornato in mente ieri quando, su suggerimento di L., ho guardato questo video.


Preoccupante, allarmante, terribile? Tutto questo e anche di più, eppure ogni essere umano si ritrova - volente o nolente - a dover fare continuamente i conti con una propria morale e con un'autorità a cui tende ad affidarsi. Se queste confliggono tra loro, a chi dare ascolto? Così mi è venuta in mente Hannah Arendt e la sua banalità del male, dove il male non deriva da un'azione pensata e volontariamente carnefice, ma da ignoranza e desiderio di deresponsabilizzarsi - un po' quello che mostrano nel video in relazione ai concorrenti posti sotto esame che in gran parte, subito dopo l'esperimento, tendevano a giustificare la loro mancata ribellione. "Ho solo eseguito gli ordini", avrebbero risposto in un altro contesto. Allora, il male assume la forma dell'errore, della mancanza di giudizio, presa di coscienza o responsabilità. Il male è l'affiliazione, l'obbedienza cieca e acritica. Così anche nel caso dell'esperimento di Stanford, dove l'affiliazione a un gruppo e la difesa di un ruolo motivano e incentivano comportamenti altrimenti ritenuti inaccettabili. 

Il male viene coltivato, cresciuto e alimentato in ogni società che non si cura di formare persone capaci di pensare, di porsi domande e di mettere in dubbio le cose, di scegliere una propria logica di pensiero o un proprio codice morale a cui far riferimento. In questi giorni sento molte persone parlare della necessità di agire, fare, cambiare. Certo è vero che il pensiero va accompagnato dalla concretezza. Solo, mi domando se questa odierna necessità derivi dalla paura delle cose così come attualmente sono o da una vera e propria riflessione a riguardo. La ribellione, vista come mancata obbedienza, non dovrebbe finire per essere simbolo o risposta a uno status quo ormai esacerbato nelle sue componenti negative, ma prassi di una dialettica volta a dubitare sempre dell'autorità, a metterla in discussione e infine, eventualmente, a riaffermarla o negarla (e così cambiarla).

Dunque non dobbiamo ricambiare le ingiustizie, né fare del male a nessuno, qualsiasi cosa gli altri facciano a noi. E bada, Critone, di non concordare con me su questo punto se non sei veramente di questo parere: a condividere queste opinioni, lo so bene, sono e sempre saranno in pochi. E fra chi la pensa così e chi no non è possibile comunità d'intenti, è anzi inevitabile che quando confrontano le rispettive scelte provino disprezzo l'uno per l'altro. Perciò, rifletti bene anche tu se condividi la mia opinione, se davvero sei d'accordo (e le nostre considerazioni muovano allora dal principio che non è mai corretto commettere ingiustizia e neppure ricambiarla, né reagire ai maltrattamenti facendo del male a propria volta); o se ti distacchi, e questo principio non lo condividi. Io la penso così da tempo e continuo tuttora, ma se tu la pensi diversamente dillo, e istruiscimi. 

da Critone, di Platone

10 commenti:

  1. Molto affascinante e agghiacciante, l'esperimento di Zimbardo. Era da tempo che volevo parlarne anch'io, ma mi sono sempre mancati il tempo e il coraggio.
    C'era un'ottima intervista su The Believer, ma quando l'ho cercata per linkartela (orrida parola) ho visto che c'è solo un breve estratto:
    http://www.believermag.com/issues/200909/?read=interview_zimbardo

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    1. Grazie, ora lo leggo! Io non so se consigliare il film. Mi era piaciuto, ma non lo riguarderei mai. Il documentario francese l'hai visto? In caso, fammi sapere che ne pensi!

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    2. No, non l'ho visto. E' una di quelle cose sui cui, una volta che l'ho conosciuta nei dettagli e ne ho afferrato le implicazioni, preferisco non tornare troppo spesso.

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    3. Sì, posso comprenderti bene. Alla fine ho letto l'articolo che mi hai suggerito solo stamattina e mi si è annodato lo stomaco. Mi chiedo quanto di ciò che emerso possa essere influenzato dalla cultura (ho visto che proprio nel Connecticut la pena di morte è stata abolita solo nel 2012 e che l'ultima condanna di morte risale solo al 2005), ma sulla base di quanto letto altrove o ascoltato anche per quanto riguarda altri paesi, rimango convinta che il sistema carcerario apporti tendenzialmente più danni che benefici.

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  2. Un tipo di esperimento che potrebbe aver ispirato roba come "Il grande fratello".
    La tua pregevole recensione ci riporta alla mente che in situazioni estreme (solitudine, cattività, fame, troppa ricchezza o eccessiva indigenza) l'essere umano è sempre pronto a fare emergere l'indole selvaggia che cerchiamo quotidianamente di addomesticare o di vincere, ma che invece c'è.
    Ognuno di noi può solo sperare di non vivere mai tali situazioni estreme, per non rischiare di scoprirsi (o riscoprirsi) ladro, assassino o addirittura cannibale.

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    1. Sì, è la stessa cosa che penso anche io. Per quanto possa ritrovarmi a pensare "in quella situazione, io mi sarei comportata diversamente", finisco sempre con il dubitarne. Sarà brutto ammetterlo, ma non credo che si possano giudicare troppo alla leggera persone che, in situazioni particolari e - come dici tu - estreme, hanno preso decisioni che non condividiamo. Fino a prova contraria, rimane sempre l'incertezza.

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  3. Come si comporta l'acqua in condizioni estreme? Quando fa troppo freddo gela e diventa ghiaccio, quando invece fa troppo caldo vaporizza. Acqua, ghiaccio e vapore, però, sono solo tre nomi diversi per indicare lo stesso elemento chimico.
    Credo che Zimbardo abbia semplicemente esplorato situazioni che rappresentano il superamento dei confini della normalità. Certe cose forse ci spaventano, ma in fondo sono solo una delle tante parti di noi. E noi siamo l'unione del tutto, anche se quasi sempre a prevalere è solo una certa parte.

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